Sabato il ministro leghista Roberto Calderoli è uscito, un po’ a sorpresa, con la proposta del “patto del trampolino”, cioè di un accordo a tre Berlusconi-Bossi-Fini che definisca un accordo di legislatura.
Domenica il ministro leghista Umberto Bossi, che come Calderoli è privo di portafoglio ma a differenza del dentista bergamasco è il capo del partito, ha ritirato la mano: «Basta un no a una legge e si vota».
Niente calumet della pace con la pattuglia di Gianfranco Fini, basta con i tentativi del Carroccio (condotti nei mesi scorsi proprio da Calderoli e dall’ex capogruppo alla Camera Cota) di mediare tra i due leader litiganti. Il Senatùr affronta la crisi del centrodestra a muso duro; per lui le elezioni restano l’opzione numero uno.
Problemi nella Lega? Un inizio di sfaldamento interno nel partito più monolitico della scena politica italiana? Non è da escludere, visto che le truppe del ministro Roberto Maroni (quello sì, con un portafoglio pesante) hanno bocciato immediatamente l’ipotesi di Calderoli. Tuttavia il botta e risposta potrebbe anche dissimulare un gioco delle parti, con la Lega che si incarica di muovere le acque nella maggioranza per stanare i finiani e capire, dalle loro reazioni, se sono più propensi a trattare o a rompere.
La situazione nel centrodestra è di “tregua armata”. Le milizie stanno acquattate in trincea in attesa degli eventi. Tutto è bloccato. Berlusconi vorrebbe votare, ma ha due problemi: non può essere lui a provocare la crisi e non ha neppure la certezza che si vada alle urne una volta rovesciato il tavolo.
Il risultato del voto di fiducia sui cinque punti non è tranquillizzante per il premier. Alla Camera i finiani sono determinanti per sostenere il governo, e quindi anche per un eventuale esecutivo tecnico-istituzionale assieme alle sinistre e all’Udc.
A Montecitorio, insomma, i numeri per un governo post-Berlusconi ci sarebbero. A Palazzo Madama formalmente no. Tuttavia esiste un gruppo di senatori Pdl che potrebbe schierarsi con Fini, pur non avendolo fatto finora. Sono i senatori di prima nomina che, in caso di elezioni anticipate a marzo, perderebbero i benefici economici e pensionistici che si maturano al termine dei cinque anni di mandato, per di più senza la garanzia di essere ricandidati.
Nei palazzi del potere, tra i peones del Parlamento, il malcontento è in crescita. E ciò spaventa Berlusconi, legandogli le mani. Quali sono i fatti nuovi che potrebbero dare uno scossone a questa palude? Il tavolo di confronto è quello della giustizia, e in particolare del lodo Alfano. Un provvedimento di «scudo» per le alte cariche dello stato è all’esame del Senato. È un testo breve, che potrebbe essere approvato rapidamente. E che soprattutto consentirebbe di evitare il pronunciamento della Consulta sulla costituzionalità del legittimo impedimento.
Ma occorre un accordo chiaro tra le forze di maggioranza; un patto esplicito ma più ampio, perché Fini – che con l’accordo sulla giustizia perderebbe il principale strumento di pressione sul premier – non vuole rinunciare al proprio potere di interdizione sul governo.
Tregua armata, dunque. In attesa che succeda qualcosa, come nel "Deserto dei Tartari". Sentinelle sugli spalti pronte a cogliere il minimo segnale. E intanto il Paese resta bloccato a discutere di intercettazioni, fughe di notizie e case all’estero.