Quasi due mesi fa, alla “due giorni” dei giovani imprenditori a Santa Margherita Ligure, erano presenti Angelino Alfano, Pierferdinando Casini ed Enrico Letta. Se il posto di quest’ultimo fosse stato preso da Pierluigi Bersani, avremmo avuto la troika della maggioranza ABC al completo. In ogni caso, era un trio ben rappresentativo dei sostenitori del governo Monti.
Ebbene, i tre promisero che in altrettante settimane (cioè venti giorni o poco più) avrebbero sfornato una nuova legge elettorale. Ne erano così sicuri che promisero al presidente dei baby-confindustriali, Jacopo Morelli, di presentarsi il 19 luglio a un vertice già fissato per spiegare tutte le novità.
Era il 9 giugno. Le tre settimane sono passate. È scaduto anche l’appuntamento del 19 luglio. Ormai siamo ad agosto e della nuova legge elettorale sono rimaste soltanto le promesse, o – forse – gli spergiuri. Di recente la riforma è stata sollecitata perfino dal Capo dello Stato, Giorgio Napolitano, che ne ha ricordato l’urgenza forse anche in vista di elezioni anticipate in autunno, eventualità non così improbabile dato il permanere delle turbolenze finanziarie sul nostro Paese.
L’altro giorno un’ulteriore esternazione del Presidente del Senato è stata invece fischiata dal centrosinistra. Schifani aveva ripetuto l’appello a fare presto, anche a colpi di maggioranza. E qui è scoppiato il caso, perché in Parlamento non è del tutto scomparsa la “vecchia” maggioranza, cioè l’asse Pdl-Lega, che ha perso la compattezza ma non i numeri.
Ogni tanto l’alleanza riaffiora in qualche votazione di Montecitorio o Palazzo Madama. E l’annuncio (o la minaccia) che essa potrebbe ricompattarsi per varare un nuovo sistema di voto senza la sinistra ha scatenato proprio l’ala Pd-Idv. Nella fattispecie, l’erede del “Porcellum” ipotizzato da Pdl-Lega prevede un premio di maggioranza al primo partito e reintroduce una quota di preferenze sulle schede. Il Pd, viceversa, punta a un premio di coalizione con la ridefinizione dei collegi.
Non esiste in assoluto una legge elettorale migliore di un’altra: lo sappiamo bene noi italiani che, in questo momento, utilizziamo sistemi completamente diversi tra loro per eleggere sindaci, presidenti di provincia, governatori regionali, parlamentari, circoscrizioni/municipalità. Ogni amministrazione ha il suo sistema elettorale, che riflette determinate caratteristiche e priorità.
La proposta Pdl è migliore di quella Pd? Non è detto, e viceversa. La nuova legge uscirà dal confronto tra i partiti e rispecchierà gli equilibri che si vogliono mantenere per la prossima legislatura. Per esempio, se si intende proseguire nell’accordo fra i tre partiti maggiori (non necessariamente con un premier tecnico o “super partes”), ci si muoverà verso un proporzionale che “costringa” a continuare la “grosse koalition”. Se viceversa un partito o una coalizione pensa di poter facilmente prevalere, punterà a un premio di maggioranza per marcare la supremazia.
L’incertezza del contesto finanziario non aiuta la classe politica, che pure proprio sulla legge elettorale dovrebbe dimostrare di non aver perso del tutto autorevolezza e credibilità. Siamo in piena fase di schermaglie. Ma anche il prendere tempo può riflettere una linea di azione: quella di arrivare alle elezioni senza modificare il vituperato “Porcellum”, cioè il premio di coalizione con liste bloccate.
Esautorato di fatto dalle politiche economiche, finanziarie e fiscali dal tecnogoverno che agisce a colpi di decreti legge approvati con voti di fiducia, al Parlamento non è rimasto che un solo terreno per mostrare di non aver alzato bandiera bianca su tutto il fronte: questo terreno è proprio la legge elettorale. Su come sarà giocata questa partita a scacchi si misurerà dunque la residua credibilità della politica.