INCONTRO PD-M5S/ Con l’”aiuto” di Grillo, Renzi fa la fine di Letta

- Antonio Fanna

Oggi dovrebbe essrci il secondo faccia a faccia tra Renzi e i rappresentanti di M5S sulla riforma elettorale, ma fino a ieri sera regnava un'enorme incertezza. ANTONIO FANNA

renzi_campagnaelettoraleR439 Matteo Renzi (Infophoto)

Tre mesi per fare le riforme, aveva promesso Matteo Renzi appena insediato a Palazzo Chigi. Ne sono passati quattro e non c’è ancora un testo licenziato da una Camera. Si discute, si fa il braccio di ferro, si misurano le forze interne al Partito democratico, si testa l’affidabilità di Silvio Berlusconi, si sondano le vere intenzioni di Beppe Grillo. Insomma si fa quella che a Napoli si chiama «ammuina» in cerca di un «accordo largo», ma di passi avanti nemmeno l’ombra. Renzi era piombato da Firenze a Roma per bonificare la palude del governo Letta, ed eccolo impantanato a sua volta tra mille mediazioni senza sbocchi.

Era partito dall’asse preferenziale con Silvio Berlusconi. Ora Renzi è alle prese con le aperture dei 5 Stelle. Nel frattempo Forza Italia è diventata un campo di battaglia dove nemmeno il Cavaliere sembra più in grado di reggere il timone. E il Pd non è da meno, con una pattuglia di 20 irriducibili senatori decisi a tutto pur di bloccare il Senato dei «doppi eletti». In mezzo ci sarebbero anche le pretese del Nuovo centrodestra, che però si deve rassegnare a fare la comparsa. I primattori oggi sono altri.

In questo incrocio di veti contrapposti, il premier non brilla per diplomazia né per capacità decisionali. Sa fare il furbetto quando chiede ai grillini la diretta streaming dei loro incontri, ma al momento di stringere non si vedono risultati. Oggi ci sarebbe in calendario un secondo faccia a faccia con i rappresentanti del Movimento 5 Stelle sulla riforma elettorale (Italicum), ma fino a ieri sera regnava un’enorme incertezza. Al Pd le aperture dei pentastellati non bastano, e non servono le interviste: il partito di Renzi vuole un documento chiaro, impegni scritti e sottoscritti, e pretende che le firme rappresentino i gruppi e non semplicemente qualche parlamentare in cerca di accreditamento. I democratici non si fidano di Grillo. Ma senza fiducia non si va lontano.

Governabilità, apertura a doppio turno e premio di maggioranza: il Pd chiede che i 5 Stelle prendano il loro pacchetto di dieci punti e lo facciano proprio senza fiatare. È il metodo Renzi: si fa soltanto quello che dico io, gli spazi per le mediazioni sono risicatissimi. Almeno questo metodo garantisse velocità negli stadi di avanzamento: macché, si discute ma nulla si muove.

A Renzi però la manfrina con i grillini serve soprattutto per coprire le divisioni interne e dare tempo ai suoi di ricucire con la minoranza decisa a rendergli la vita difficile. Chi dissente è un frenatore, un guastatore, uno che mette i bastoni tra le ruote; la propaganda renziana non dà scampo. Il fatto è che il premier ha assoluto bisogno di mettere in votazione un testo entro metà mese per dimostrare ai partner europei che davvero qualcosa si sta facendo in Italia sul versante riformatore, che è la chiave per aprire le porte al tentativo di allentare la rigorosa politica di bilancio imposta dalla Germania. «Chi frena le riforme frena l’Italia» fanno sapere i portavoce del pensiero renziano.

Così facendo, di forzatura in forzatura senza risultati concreti, il premier non fa altro che indurre ognuno ad alzare la posta: la minoranza interna, l’Ncd di Alfano (per il quale l’Italicum dev’essere profondamente modificato), l’Udc, i frondisti di Forza Italia. Ognuno ha buon gioco a irrigidire il braccio di ferro con Renzi e i suoi fedelissimi. Ma il premier non cambia linea. Mercoledì arriva in aula la riforma del Senato e lì si vedrà l’esito di questo scontro frontale in atto soprattutto all’interno del Pd. Venti senatori democratici sono fieri oppositori del Senato delle autonomie. Renzi ripete: «Siamo a un bivio, adesso ognuno deve assumersi la responsabilità delle proprie azioni». Impossibile far credere di poter cambiare l’Europa se non si riesce a cambiare almeno un po’ l’Italia.







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