Il ritorno di Joe Dakota, film su Rete 4 diretto da Richard Bartlett
Domenica 22 giugno 2025, nel pomeriggio di Rete 4 alle ore 17, andrà in onda il film dal titolo Il ritorno di Joe Dakota (1957), un western che sceglie una via meno battuta, sostituendo le vaste praterie con i confini angusti di un segreto cittadino. La regia di Richard Bartlett costruisce un’impalcatura tesa e coinvolgente, valorizzando un insieme di attori di grande esperienza.
A portare il peso del racconto è Jock Mahoney, che con il suo passato da stuntman conferisce al personaggio di Joe una credibilità quasi tangibile. Nel cast anche Luana Patten e un non ancora molto famoso Lee Van Cleef. Il film è un ritratto fedele della macchina produttiva della Universal Pictures di quegli anni, capace di creare opere di genere solide e ben strutturate.
Il comparto tecnico ne è la prova: la fotografia di George Robinson immerge lo spettatore nell’atmosfera quasi claustrofobica del paese, mentre le partiture musicali, composte da veterani come Henry Mancini e Hans J. Salter, sono un ingranaggio fondamentale nel meccanismo della suspense, un commento sonoro che evoca un pericolo costante e strisciante.
La trama del film Il ritorno di Joe Dakota: una prosperità che nasce da un odioso delitto
Ne Il ritorno di Joe Dakota, la vicenda si dipana proprio attorno al personaggio del titolo, un uomo tranquillo e metodico, la cui pacatezza cela una ferrea determinazione. Egli giunge nella remota e apparentemente prospera Arborville per una ragione strettamente personale: cercare un amico nativo americano, un tempo proprietario di un piccolo, arido appezzamento di terra.
Un legame di vecchia data, forse basato su una promessa non mantenuta o un debito d’onore, lo ha spinto fin lì. Di fronte alle sue domande, la comunità locale, inizialmente ospitale, gli offre una versione dei fatti fin troppo compatta e laconica: l’uomo ha venduto la sua terra e se n’è andato, dissolvendosi nel nulla. Un muro di silenzio impenetrabile si erge di fronte a Joe, fatto di sguardi sfuggenti e risposte evasive. Ma la pacata insistenza di Joe, unita a una scoperta sconcertante, gli impedisce di accettare una spiegazione così sbrigativa.
Proprio su quel terreno un tempo insignificante, è sorto un ricco pozzo di petrolio, che ha trasformato radicalmente la vita del paese, portando ricchezza e corrompendo le coscienze. Questa coincidenza non può essere casuale, e spinge Joe a credere che la realtà sia ben diversa e molto più oscura, intrisa di inganni e probabili violenze.
Da quel momento, il film abbandona i canoni del western classico, dove le pistole risolvevano ogni controversia, per trasformarsi in un’intensa indagine psicologica. L’arma più efficace non è la Colt, ma la tenace perseveranza di un uomo che non si arrende di fronte all’omertà.
Joe, con la sua semplice e ostinata presenza, non fa altro che tenere uno specchio di fronte ai cittadini di Arborville, costringendoli a confrontarsi con la propria immagine distorta. La sua calma erode le loro certezze, instillando dubbi e smuovendo sensi di colpa che credevano di aver sopito per sempre. Ogni domanda non solo cerca una risposta, ma mina le fondamenta della loro ipocrisia, costringendoli a fare i conti con la propria coscienza e con il peso di una complicità collettiva in un crimine che speravano di aver sepolto e dimenticato sotto il flusso del petrolio.
La sua ricerca, quindi, trascende il legame personale: non è più solo la ricerca di un amico scomparso, ma il tentativo di ristabilire una giustizia morale che il denaro, la convenienza e la sete di potere hanno cancellato da quel luogo, lasciando dietro di sé una scia di menzogne e rimorsi.