Il “taglio” del presente intervento intende essere volutamente “esperienziale”, ossia vuole raccontare quanto vissuto lungo due anni scolastici, con una ragazzina affetta da sindrome di Down – che chiameremo convenzionalmente Silvia -, ciò che si è vissuto e ciò che si è imparato, con lei, la sua famiglia, i suoi docenti, i suoi compagni. Nell’intervento si riferirà di alcuni dati che si sono via via acquisiti, ma si sottolineeranno altrettante questioni “aperte”, ovvero alcuni interrogativi. Anche per tale ragione, quanto seguirà non ha la pretesa di “insegnare” alcunché, se non di raccontare di un particolare approccio e di comunicare alcune riflessioni.
Le tappe di un percorso decisamente nuovo – Fare rete – Nei primi mesi del 2007 chi parla fu direttamente contattato dai genitori di Silvia, che all’epoca stava frequentando la terza classe presso una scuola media paritaria di Varese. Nonostante il consiglio orientativo del Consiglio di classe fosse favorevole all’inserimento della ragazza presso un centro scolastico a carattere professionale, da parte della famiglia si giudicava più utile la permanenza di Silvia all’interno di un percorso scolastico presso una realtà liceale, al fine di proseguire e consolidare la sua maturazione e la sua evoluzione personale.
I genitori, riferendo che avevano vanamente bussato a più porte (scolastiche) per cercare di preiscrivere la figlia ad una scuola superiore, si dissero ben consci di non potere avere attese strettamente didattiche: era loro intenzione verificare l’ipotesi che la figlia potesse svolgere un nuovo tratto di quel percorso di autonomia avviato negli anni precedenti, avvalendosi di un docente di sostegno e di un’educatrice esterna. La scelta della nostra Scuola, a detta della famiglia, aveva fondamentalmente due ragioni: innanzitutto una notevole aspettativa in termini di attenzione alla persona di Silvia, legata anche alle dimensioni contenute dell’Istituto; secondariamente la presenza di corsi modulari (trimestrali) di musica, arte e informatica, ambiti in cui Silvia denotava interesse e abilità.
Si trattava di una richiesta impegnativa e per certi versi “sorprendente”, a cui non si poteva rispondere con la sola “buona volontà”, né tantomeno con un pressapochismo didattico-educativo, a maggior ragione trattandosi di un’esperienza (e di una sfida) del tutto nuova, per noi, forse nuova in assoluto per un liceo!
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Dopo aver incontrato la psicopedagogista che da oltre un anno seguiva Silvia, nonché l’insegnante di sostegno della scuola media, preso atto della diagnosi clinico-funzionale datata 15.01.07, rilasciata dall’Azienda ospedaliera dell’ospedale di Circolo di Varese e attestante un deficit cognitivo grave, venne fissato un nuovo incontro con i genitori, al termine del quale fu accolta la richiesta di inserire la ragazza nella futura IV ginnasio, concordando tuttavia di verificare un percorso non superiore ai due anni, coincidenti di fatto con il ginnasio, percorso propedeutico ad un successivo percorso di tipo “professionale”.
Successivamente è stato tracciato un percorso didattico-formativo teso ad accrescere l’autonomia complessiva dalla ragazza, concretatosi nella stesura della bozza di un PEI (Piano Educativo Individualizzato). Sono state altresì individuate le due figure fondamentali: un nuovo insegnante di sostegno (il cui costo sarebbe stato a carico della Scuola) e una educatrice che avrebbe lavorato con Silvia a domicilio (il cui costo sarebbe stato a carico della famiglia).
Frattanto, sempre con la volontà di attivare contatti qualificati e significativi, era stato da noi interpellato l’assessore ai Servizi educativi del comune di Varese, per verificare la possibilità di un servizio di assistenza ad personam. L’assessore si era dichiarato molto interessato e disponibile, ma aveva subito chiarito che il Comune non poteva assicurare tale servizio, a meno di uno specifico progetto, con caratteristiche tali da poter giustificare un intervento anche dell’Ente comunale.
Tale progetto è stato in seguito individuato nel Progetto “Equity in rete”, promosso da Regione Lombardia, I.Re.F. Lombardia, ANCITEL Lombardia e Fondazione Don Gnocchi Onlus, progetto dai contenuti fortemente innovativi, riguardante lo sviluppo di azioni di coordinamento e integrazione degli interventi degli enti locali e delle istituzioni scolastiche a favore degli alunni disabili, prevedendo un costante monitoraggio delle stesse, nonché un articolato piano di formazione a più livelli (locale, distrettuale, provinciale e regionale), tale da coinvolgere svariati operatori e diverse realtà presenti sul territorio.
L’adesione a tale Progetto per la nostra Scuola ha implicato:
– la firma di un protocollo di intesa con I.Re.F. Lombardia;
– la creazione di un gruppo di lavoro handicap (GLH), costituito dai futuri docenti di Silvia;
– l’individuazione di un coordinatore del progetto;
– un piano previsionale delle attività, comprendente le attività dettagliate da svolgere, la costruzione di una rete locale, la formazione prevista.
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Quest’ultimo aspetto è apparso da subito quello più oneroso, ma anche più ricco di stimoli, implicando l’impegno a realizzare/partecipare ad una rete composta da soggetti diversi (la nostra Scuola, gli enti locali, l’Usp, l’ASVa, l’Asl ecc.) allo scopo di ricevere/offrire attività di formazione, in una logica di confronto e dialogo fra esperienze diverse. L’adesione del Comune di Varese al Progetto “Equity in rete” ha fra l’altro garantito a Silvia la presenza di un’altra educatrice per 10 ore settimanali.
Il Piano Educativo Individualizzato (PEI), sulla base del quale Silvia non avrebbe frequentato le lezioni del sabato, né le ore di Greco, Latino ed Inglese, aveva individuato i seguenti ambiti di lavoro: autonomie personali (primarie, di lavoro ed emotive), comunicazione intenzionale e competenze cognitive.
2. L’ampliamento della rete – Tra le varie attività previste dal Progetto “Equity in rete” di particolare rilevanza è risultato il corso di formazione di 24 ore dal titolo “Creare una cultura dell’integrazione”. Tale corso, rivolto a tutti gli operatori presenti sul territorio ed impegnati in attività per l’integrazione scolastica di alunni disabili, si è svolto presso la nostra Scuola nei giorni 5 ottobre, 9 e 16 novembre 2007 e ha visto la partecipazione di 27 corsisti, di cui 7 dipendenti della Cooperativa S. Monte (6 docenti e 1 non docente) e 20 altri soggetti appartenenti a diversi Enti: Provincia di Varese, ASL Varese, Comune di Varese, Comune di Clivio, Cooperativa sociale L’Anaconda, oltre a dirigenti scolastici e docenti di scuole statali, nonché genitori di ragazzi disabili.
Prendendo come riferimento base la “Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali” (Legge 8 novembre 2000, n. 328), il corso è stato strutturato su tre temi principali:
– la rete territoriale;
– il servizio: metodologie e strumenti;
– progetti e percorsi.
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In modo estremamente sintetico, si può dire che tale Corso, attraverso gli interventi di qualificati relatori e soprattutto attraverso i proficui lavori di gruppo, ha posto in risalto l’ineludibile necessità di prendere coscienza dell’importanza della costruzione di reti, allo scopo precipuo di istaurare relazioni consapevoli e significative fra i vari soggetti: il ragazzo/la ragazza, la famiglia, la scuola, gli specialisti, le istituzioni locali ecc.
E’ emerso altresì con chiarezza che i nodi di cui è fatta una rete altro non sono che i contatti fra i diversi soggetti, per cui la scuola è in contatto con la famiglia, con lo specialista con i servizi sociali e, a sua volta, ciascuno dei diversi soggetti è in contatto con gli altri, è un contatto per gli altri.
La comunicazione tra i soggetti si espleta attraverso la documentazione (Piano dell’Offerta Formativa, Registro, Profilo Dinamico Funzionale, Piano Educativo Individualizzato, Diagnosi Funzionale) e la relazione: quest’ultima è come una spirale in continuo divenire e ha senso solo se vi è il riconoscimento reciproco tra i soggetti coinvolti; se è vissuta come inclusione; se agisce grazie all’interscambio dei soggetti; se insegnante e ragazzo/a sono soggetti attivi e consapevoli della relazione; se vi è un rapporto di “buone pratiche” fra i diversi soggetti, volto cioè a valorizzare le diverse risorse.
Assodato che la diagnosi è uno strumento, per sua natura oggetto inerte, che giustamente promuove dei diritti (sostegno, assistenza, ausili ecc.) e che dovrebbe evitare sprechi, duplicazioni, confusioni, errori, sul piano più strettamente scolastico è stata posta a tema la didattica, come strumento proprio della scuola, impegnata ad organizzare i diversi alfabeti, intesi come strati di contenuti da tradurre in modalità graduali di insegnamento che, tenendo conto della diagnosi, aiutino con gradualità a far propri processi logici atti ad associare, smistare, classificare, seriare, ordinare.
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Preziosa, fra le altre, la considerazione emersa per cui nessuna didattica potrà mai eliminare un deficit: al contrario, proprio partendo dall’handicap e lavorando su di esso, la didattica può rimuovere i “pesi”, gli ostacoli… Il giudizio da tutti condiviso al termine del Corso di formazione è stato che una rete rappresenti effettivamente una grossa risorsa, in termini di specificità, competenze e potenzialità, da valorizzare e da condividere.
3. Al lavoro! (in aula, ma non solo) – Già prima di partecipare a detto Corso, e a maggior ragione dopo, avendo più chiare ragioni, ci si è messi al lavoro con Silvia, non prima di avere informato i suoi compagni di classe e i loro genitori, dialogando e rispondendo alle diverse, legittime domande emerse. Rispetto alla precedente esperienza scolastica, si è deciso che Silvia rimanesse sempre in classe durante le diverse ore di lezione, con l’insegnante di sostegno o l’educatrice, ad esclusione delle ore di Greco, Latino e Inglese, come già ricordato.
Periodicamente, di solito in occasione delle riunioni del Consiglio di classe, ci si è riuniti per discutere innanzitutto dei dati emersi dall’osservazione delle diverse dinamiche relazionali, per poi pervenire a valutazioni puntuali sul rapporto insegnamento-apprendimento, ovvero la sua efficacia, e all’assunzione di precise decisioni collegiali.
A partire dal secondo anno, per tre ore a settimana, Silvia ha frequentato le lezioni autonomamente, senza il supporto dell’insegnante di sostegno, con il duplice obiettivo di valutare le sue capacità nel gestire e portare a termine in autonomia un compito assegnatole e di amministrare il proprio tempo, le relazioni con i docenti e i compagni, senza la mediazione del docente di sostegno.
A scuola, concretamente, Silvia ha sempre portato i propri quaderni con assoluta regolarità, seguendo un percorso personalizzato, proprio, ma non avulso dal resto della classe, un percorso comprensivo di verifiche tese a misurare l’efficienza della ragazza rispetto a determinate consegne di difficoltà crescente. Di particolare interesse si sono rivelate le relazioni con i compagni, nonché alcune attività e taluni compiti assegnati a Silvia nel contesto della classe e, più in generale, dell’Istituto, di cui vale la pena fare un rapido cenno.
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Relazioni con i compagni Tra Silvia, i suoi genitori, l’insegnante di sostegno, l’educatrice e i suoi compagni si sono stabilite progressivamente relazioni sempre più ricche di significato, sul piano affettivo, non meno che su quello cognitivo, nonostante le oggettive difficoltà espressive della ragazza. Alla fine di ogni giorno di scuola, i suoi compagni si sono così impegnati a turno ad accompagnare Silvia fino all’uscita dall’edificio scolastico. Anche studenti di altre classi hanno iniziato spontaneamente a trascorre l’intervallo con Silvia, dimostrando grande e fattiva attenzione a lei.
Nel corso del secondo anno di frequentazione scolastica, si è deciso – gradualmente e in accordo con l’insegnante di sostegno – di mantenere la presenza di Silvia in aula durante tutto l’orario scolastico, al fine di favorire una sempre maggiore integrazione con i compagni, stimolandola a sentirsi parte integrante e attiva della classe.
Attività diverse Silvia ha partecipato, fra l’altro, ad un impegnativa “Giornata di accoglienza” a Civate sopra Lecco (settembre 2007), a diversi concerti di musica classica presso il Teatro alla Scala di Milano, a svariate uscite didattiche (mostre, ricerca dell’oro nel torrente Elvo, vicino a Biella), ai viaggi d’istruzione svoltisi sulle nevi dell’Alpe di Siusi nel febbraio 2008 e in barca a vela nel marzo 2009 a Portovenere. Si è trattato in tutti questi casi di occasioni importanti di effettiva e proficua integrazione, che di certo hanno potenziato ed accresciuto le proprie autonomie relazionali e cognitive di Silvia.
Compiti particolari – Ciò che si è appena affermato vale ancor più per quanto riguarda una serie di compiti specifici via via assegnati a Silvia: dal distribuire ai compagni le circolari o i fogli di protocollo, all’andare in Segreteria, accompagnata dal docente di sostegno, chiedendo (da sola!) di poter avere delle fotocopie o domandando la chiave dell’aula di Informatica o di un’altra aula, dove svolgere determinate attività in concomitanza con le ore di Greco, Latino o Inglese, all’acquistare in autonomia la merenda durante l’intervallo.
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4. Non solo Liceo… La rete si allarga ancora – D’intesa con la famiglia e con la psicopedagogista, già lungo il primo anno scolastico ci si è accordati affinché Silvia potesse frequentare per una mattinata le lezioni appositamente pensate per ragazzi diversamente abili presso il Liceo musicale di Varese. Successivamente, all’inizio dell’anno scolastico 2008-2009, sempre in totale accordo con famiglia e psicopedagogista, si è deciso di verificare la possibilità per Silvia di frequentare le ore di lezione di un Istituto professionale paritario di Varese, per due mattinate alla settimana: da un lato non si voleva interrompere in modo “traumatico” la rete di relazioni consolidate presso il nostro Liceo, dall’altro si voleva avviare la ragazza verso quel percorso “professionalizzante” per lei fondamentale in termini di autonomie e di “saper fare”.
Tale ipotesi si è poi concretata in una Convenzione fra le due scuole che ha assunto la forma di un “Tirocinio osservativo orientativo”, con attività di Laboratorio di Sala-Bar, sui cui esiti altri dopo di me potranno riferire meglio e in modo più dettagliato.
“Luci” ed “ombre”: brevi note per un bilancio (e qualche interrogativo finale) – Senza pretendere di stilare un bilancio esaustivo, ci pare tuttavia necessaria, e fors’anche doverosa, una sintetica riflessione sull’esperienza vissuta. Gli aspetti più positivi hanno certamente riguardato Silvia e la sua famiglia: la ragazza ha vissuto questi due anni con serenità e profitto, muovendo “passi” importanti, come attestato dagli esiti delle periodiche visite specialistiche e come confermato dai giudizi di soddisfazione costantemente espressi dalla famiglia nei confronti della nostra Scuola.
Ma non solo Silvia e la sua famiglia hanno guadagnato qualcosa da questa esperienza: scoprirsi “impreparati” è stata infatti per la nostra Scuola un’occasione di apprendimento e di ricerca, che ha costretto a ragionare in termini di “reti”, come insieme di possibili “territori” da costruire insieme ad altri soggetti, ad altri attori, fra i quali vanno giustamente ricordati i docenti, di cui va sottolineata la non comune disponibilità e ancor più la capacità di mettersi in discussione.
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Questi risultati sono stati raggiunti nonostante alcuni “imprevisti” di non poco conto verificatisi nell’anno scolastico 2008-2009. Innanzitutto la docente di sostegno è stata forzatamente sostituita con un’altra, che tuttavia non ha fatto rimpiangere chi l’aveva preceduta. Secondariamente la Regione Lombardia non ha rinnovato il finanziamento del Progetto “Equity in rete”, contrariamente a quanto lasciato intendere all’inizio dell’esperienza stessa. In terzo luogo il Comune di Varese non ha più offerto alcuna ora di assistenza ad personam, né tale impegno è stato assunto dalla Provincia di Varese, pur ripetutamente sollecitata a riguardo.
Tutto ciò ha implicato non pochi disagi e sensibili costi aggiuntivi per la famiglia, al fine di garantire un congruo numero di ore di sostegno a Silvia, al Liceo, all’Istituto professionale, a casa. E’ giusto che tali costi gravino sulla famiglia? E se una famiglia non può sostenerli?
E’ giusto che una scuola paritaria si accolli l’oneroso costo di un docente di sostegno, il cui importo supera di gran lunga quello della retta scolastica (peraltro sempre a carico della famiglia!), mentre un analogo docente di sostegno non incide minimamente sul bilancio di una scuola statale?
In definitiva il diritto all’istruzione e alla formazione di un ragazzo diversamente abile di 14-16 anni, che frequenti una scuola non statale, paritaria, è oggi realmente garantito o no?