Crolla la fiducia delle imprese italiane. Secondo quanto rilevato dall’Istat l’indice composito del clima di fiducia a settembre scende a 75.5 da 79.0, il livello più basso mai raggiunto dal marzo del 2009, quando si registrò un minimo storico. L’Istituto nazionale di statistica sottolinea che la caduta della fiducia delle imprese è esclusivamente dovuta al tonfo registrato per le imprese dei servizi di mercato. Nonostante negli altri comparti siano stati registrati diversi incrementi, il ribasso segnato per le imprese dei servizi di mercato, settore che pesa per circa i due terzi, riesce da solo a trascinare in basso l’indice complessivo del clima di fiducia. A peggiorare sono in particolare i giudizi e le attese sugli ordini, oltre al saldo delle attese sull’economia in generale. IlSussidiario.net fa il punto della situazione con Roberto Snaidero, Presidente di FederlegnoArredo, realtà che riunisce circa 2.700 aziende del settore dell’arredamento e della lavorazione del legno.
Presidente, i dati rilevati dall’Istat mostrano ancora una volta quanto l’attuale situazione sia insostenibile per le imprese italiane. Dove sono allora quello sviluppo e quella crescita di cui tanto si parla?
Personalmente, in questo momento, non vedo né sviluppo, né crescita. Sono in molti, tra cui il Presidente del Consiglio Mario Monti, ad annunciare che un’inversione di rotta è in atto e che finalmente il Paese comincia a vedere la famosa “luce in fondo al tunnel”. Eppure, almeno nel nostro settore, questa luce ancora non riusciamo a vederla.
Colpa della crisi internazionale o della particolare situazione italiana?
E’ chiaro che attualmente ci troviamo di fronte a un mercato interno saturo e sofferente che ovviamente risente della profonda crisi internazionale. Se un Paese come la Cina, abituato a una crescita sostenuta, annuncia che il Pil nel 2012 crescerà del 7,5%, il tasso di crescita più basso da almeno 20 anni, è chiaro che l’attuale crisi non può essere imputata solamente alle questioni interne al Paese.
Qual è il maggior ostacolo per un’impresa italiana?
Più di una volta ho dichiarato l’insostenibilità di una pressione fiscale al 55%, la più alta del mondo. Non possiamo ragionare in questi termini, soprattutto se nei Paesi vicini troviamo livelli di tassazione che sono meno la metà del nostro.
Come si è arrivati a questo punto?
Il nostro Paese sta sostanzialmente scontando gli errori del passato. Monti ha fatto bene finora, però adesso è il momento di guardare avanti. Mi auguro che la fase di riparazione delle azioni fatte in precedenza sia finalmente conclusa e che sia giunto il momento di ragionare in termini di concreto sviluppo.
Di cosa ha davvero bisogno il nostro Paese per intraprendere la strada della crescita?
L’Italia, come è noto, è un Paese che non può contare sulle materie prime. Le importiamo dai Paesi vicini, le trasformiamo e le rimettiamo sui mercati con quella qualità e quel design che ci rendono famosi in tutto il mondo. E’ da questo, dai nostri punti di forza, che dobbiamo far ripartire lo sviluppo del Paese. Fondamentale anche l’export, che in un periodo come quello attuale sta letteralmente sostenendo le imprese italiane.
Quanto è alto il rischio di assistere a una fuga sempre più massiccia di imprese nazionali?
Sono tanti gli imprenditori che, paragonando il nostro livello di tassazione a quello di altri paesi, cominciano a pensare a un’ipotesi del genere. Francamente, credo che il cittadino italiano sia indissolubilmente legato alla propria terra, ai propri affetti e alla propria comunità: le grandi multinazionali possono anche non guardare in faccia a nessuno e andarsene, ma ritengo che il vero imprenditore italiano, nato e cresciuto in questo Paese con il suo bagaglio di esperienze, abbia la forza e la volontà di mantenere le sue radici in questo territorio.
Quando crede che realmente potremo assistere ad accenni di sviluppo?
Le nostri azioni all’estero in questo momento stanno dando risultati positivi. Per quanto riguarda l’aspetto interno, non dimentichiamo che il prossimo anno dovremo affrontare le elezioni politiche, periodo nel quale il mercato difficilmente può far registrare un miglioramento. A mio giudizio, quindi, per un’eventuale ripresa e un barlume di sviluppo dovremo attendere almeno il periodo immediatamente successivo a quello elettorale.
(Claudio Perlini)