Nel novembre scorso, per la prima volta dopo 26 mesi di cali ininterrotti, la produzione industriale ha fatto registrare un aumento dell’1,4%. Lo ha reso noto l’Istat che, su base mensile, ha rilevato un nuovo rialzo dello 0,3%. L’ultimo dato positivo su base annua risaliva ad agosto 2011. Da qualche mese l’inversione di tendenza era confermata anche da un rallentamento della caduta in termini tendenziali e dai dati sulla fiducia delle imprese. Tuttavia, sempre secondo l’Istat, nella media dei primi undici mesi del 2013 la produzione industriale risulta in diminuzione del 3,1%, rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente (dato corretto per gli effetti di calendario). Il rialzo di novembre quindi non riesce a risollevare il risultato annuo, con il 2013 che si accinge a chiudere in negativo, anche se con un dato migliore a confronto con il 2012 (-6,4%). Abbiamo chiesto conferma di questi dati ad Alfredo Mariotti, direttore generale di Ucimu-Sistemi per produrre, l’associazione che raggruppa i costruttori italiani di macchine utensili.
Conferma questi dati?
Sì. Anche noi nel 2014 prevediamo in Italia un incremento del 5% circa. Tuttavia, se andiamo a vedere i numeri, siamo sempre sotto rispetto al periodo pre-crisi. La perdita è stata ingente, in particolare sul mercato italiano. Comunque è vero, la conferma della ripresa arriva anche dall’andamento della raccolta ordini dell’ultimo trimestre dell’anno scorso. In più…
In più?
Essendo noi alla base della produzione industriale, se aumentano i numeri nella macchina utensile, significa che tutta la produzione industriale o si sta già muovendo o pensa di muoversi.
Torniamo per un attimo ai numeri.
Per essere più precisi nel 2014 prevediamo una produzione del 4,6% superiore a quella del 2013; inoltre prevediamo di esportare un’analoga percentuale in più e un incremento delle consegne sul mercato interno del 4,7% a cui si aggiunge un’importazione che aumenta del 3,9%. Pensiamo che quest’anno la macchina utensile in Italia avrà un consumo del 4,4% superiore a quello del 2013. Però, se guardiamo i numeri, per il 2014 indichiamo un consumo in Italia di 2 miliardi e 145 milioni; ma se andiamo indietro al 2011 vediamo che eravamo già risaliti a 2 miliardi 551 milioni. Tenga conto che in questi anni, in Italia il consumo si è praticamente dimezzato rispetto al 2005.
A cosa è dovuta, secondo lei, questa inversione di tendenza?
Intanto perché i numeri si erano talmente abbassati che, a un certo punto, o la nazione decide di chiudere, di fallire – un rischio che c’è sempre – altrimenti qualcosa si muove. Nel settore dei mezzi di produzione, in particolare quello della macchina utensile, se facciamo 100 il 2005, che tutto il mondo usa come punto di riferimento, oggi siamo attorno al 46%. Significa che si è perso circa il 54% di quello che era l’ingresso d’ordini, quindi la produzione nel campo della macchina utensile.
Questa ripresa ha una sua forza o è ancora debole?
Per avere forza sono necessari altri fattori. Per prima cosa devono aumentare i consumi alla base perché tutta la catena si muova. Se i consumi alla base non daranno segni di ripresa, allora diventa tutto difficile. Perché riprendano bisogna che la gente abbia a disposizione qualche soldo in più. Per questo deve pagare un po’ meno tasse e per il lavoratore deve esserci un cuneo fiscale che consenta di avere in tasca qualche euro in più. Non è tutto.
Cos’altro?
Penso alle aziende che devono investire. Per avere fiducia, oltre a registrare un aumento dei consumi da cui si presume che non ci si mette in pista per una produzione che poi non servirà, c’è bisogno di vedere anche una certa predisposizione da parte di chi deve intervenire nel contesto produttivo.
A chi si riferisce?
Mi riferisco allo Stato per quanto riguarda eventuali agevolazioni finanziarie. E mi riferisco agli investitori istituzionali, alle banche che devono rendere disponibili i capitali alle imprese che in questo modo possono muoversi. In questo momento il credit crunch, la mancanza di disponibilità di fondi a favore delle nostre imprese, non si è interrotto. E le nostre, che sono tutte Pmi a gestione familiare che hanno fatto notevoli sforzi per resistere alla crisi, oggi non hanno più fondi da inserire nell’azienda per farla stare in piedi, potersi muovere, espandere, produrre in modo corretto e così via. Poi c’è la legge Sabatini, un esempio di come lo Stato è lento nel rendere disponibili strumenti già approvati.
A che punto è l’iter della legge Sabatini?
Entro fine gennaio, inizio febbraio dovrebbe finalmente vedere la luce. Pare infatti che la Corte dei Conti abbia dato parere positivo, manca solo che si mettano d’accordo Cassa depositi e prestiti e Abi. Ho citato solo alcune cose che andrebbero fatte per favorire la ripresa, ce ne sarebbe almeno un’altra decina. Credo che il tema più importante in questo momento sia creare lavoro, per tutti; ristabilire quali sono i valori fondamentali sui quali poggia la nostra azione, il nostro Paese. Viceversa, se invece di discutere di queste cose, parliamo di riforma elettorale, ius soli, matrimoni gay, doppio cognome ai figli, allora non facilitiamo la ripresa.
Il presidente di Confindustria Squinzi ha detto che per tornare ai livelli pre-crisi bisognerà attendere il 2021.
Si sta parlando di livelli di consumo e di attività che sono collegati a una serie di fattori che in questo momento vedono il nostro Paese in difficoltà. Basterebbe che l’Europa agisse come continente e si rendessero disponibili risorse tramite eurobond o altre iniziative della Banca centrale europea. In questo caso probabilmente i tempi della ripresa si affretterebbero. Con quelle risorse infatti si può tornare a fare investimenti produttivi. Invece…
Invece?
Se viceversa si va avanti con il sistema attuale, con ogni Paese che si muove per conto suo e la Germania continua a pensare che da questa crisi ci può guadagnare, allora il 2021 non è poi così lontano. E a questi ritmi, con recuperi del 4-5% all’anno, è già abbastanza difficile arrivare a quel traguardo.