«Negli Stati Uniti non è in atto un rallentamento della ripresa, ma la classica altalena che caratterizza tutti i fenomeni di crescita. Il sistema Usa continua a essere competitivo e a offrire migliori condizioni per il business, nonostante Obama». Lo sottolinea Carlo Pelanda, professore di Politica ed economia internazionale all’Università della Georgia, a proposito della situazione degli Stati Uniti, dove si è riaperta la partita tra Democratici e Repubblicani sul tetto del debito, il cui raggiungimento è previsto per oggi.
Che cosa ne pensa dello scontro tra Democratici e Repubblicani sul tetto del debito?
È pura campagna elettorale. I Repubblicani alla fine accetteranno un compromesso, rispetto a cui vogliono però apparire vincenti. È sempre successo negli Stati Uniti questo tipo di dialettica politica, anche se in un momento di turbolenza la situazione potrebbe sfuggire al controllo. In questo caso interverrebbe però la Federal Reserve. Se ci fosse una tempesta valutaria e il dollaro scendesse, per l’Europa le ripercussioni sarebbero ampiamente negative. Ma finora si tratta di normali scaramucce a fini puramente elettorali.
Qual è invece il significato dei dati che hanno visto mese in settimana l’indice Ism manifatturiero relativo a gennaio scendere a 51,3, il dato più basso da maggio, dopo il 56,5 di dicembre?
Ritengo che non vi sia un rallentamento della crescita americana, ma un tipico “su e giù” caratteristico dei fenomeni di ripresa. Buona parte del boom di crescita degli Stati Uniti nel 2013 si è basato sulla ricostituzione dei magazzini da parte delle aziende. Una volta ultimato questo processo la domanda interna rallenta, e poi si riprenderà più avanti. I processi di ripresa sono sempre caratterizzati da processi di altalena, che non sono mai lineari e graduali da un punto di vista statistico.
La Fed ha appena deciso di ridurre il quantitative easing. Ritiene che debba ritornare sui suoi passi?
Niente affatto. “L’altalena” non equivale a un’interruzione della ripresa. Il compito della Fed è dare al mercato la fiducia che se succede qualcosa d’imprevisto sarà pronta a intervenire per mantenere la ripresa. Il mercato ha questa fiducia, e i dati dell’indice Ism del mese di gennaio non sono tali da indicare un’inversione di tendenza.
La tendenza dell’economia americana rimane insomma positiva?
Sì, io ritengo che si tratti di un ciclo normale. Non ci sono i segni come nel 2011 di una ripresa che si inverte. La ripresa in questo momento sta registrando un rallentamento della fase, in quanto c’è una correzione borsistica, un assestamento del mercato e non c’è più l’euforia che si è registrata nei mesi scorsi. Nell’arco di due o tre mesi è però molto probabile che riprenda la linea di crescita.
Com’è invece la situazione per quanto riguarda l’occupazione Usa?
In termini di occupati c’è un po’ meno gente che cerca lavoro perché è delusa, ma la disoccupazione sta scendendo. Insomma, meno gente cerca lavoro, ma chi lo fa lo trova più facilmente.
Il presidente Obama è stato in grado di dare le risposte giuste all’economia Usa?
Purtroppo l’indecisione di Obama ha mandato un messaggio di incertezza, anche perché molte dinamiche di crescita sono legate alle aspettative. L’Amministrazione Obama non è riuscita a dare all’intero mercato, e soprattutto al piccolo business, una certezza sull’ammontare di pesi fiscali e costi medici per ciascuna persona assunta. Ciò ha rallentato le assunzioni da parte delle piccole imprese e del commercio. L’aspetto positivo è che durante i due mandati di Obama i costi sistemici per fare impresa non sono aumentati, anzi si sono persino ridotti in alcune aree, soprattutto per quanto riguarda l’energia e le tariffe. Nonostante Obama, il sistema americano dal punto di vista dei costi riesce a essere competitivo e a offrire condizioni migliori per il business.
(Pietro Vernizzi)