L’indice Pmi manifatturiero dell’Italia nel mese di aprile è salito a 54 punti dai 52,4 di marzo, superando le attese degli analisti che erano pari a 52,8 punti. Inoltre, ha raggiunto i massimi da tre anni e ha fatto segnare il decimo aumento mensile consecutivo. Il Purchasing Managers Index (Pmi) misura le attività manifatturiere dell’industria ed è elaborato dal Markit Group con sede a Londra. Potrebbe essere il segnalo di una ripresa in arrivo? Per Leonardo Becchetti, professore di Economia politica all’Università Tor Vergata di Roma, «il dato Pmi indica che l’industria italiana si sta riprendendo, ma è presto per gioire, perché inflazione e crescita reale sono ancora troppo basse per trainare l’occupazione».
Professor Becchetti, la performance dell’indice Pmi significa che l’Italia è alla svolta?
Dopo quasi nove anni di recessione, la situazione sta cambiando. Abbiamo bisogno di una crescita sostenuta, ciò che adesso è in discussione è quale sia la sua entità. Le previsioni del governo sono pari allo 0,8% per la crescita reale e allo 0,5% per l’inflazione, e per rispettare il Fiscal compact abbiamo bisogno di un 3% nominale che si basi appunto su crescita reale e inflazione. Al momento siamo molto al di sotto di questa soglia. La speranza è che ci sia una ripresa più sostenuta, e che dopo una prima fase ci sia anche un effetto sul mercato del lavoro. L’altra grande questione che ci deve stare a cuore non è che ci sia una ripresa a tutti i costi, ma una ripresa sostenibile sotto ogni punto di vista.
Nel frattempo sui mercati lo spread ha toccato un nuovo minimo, sotto quota 160 punti…
La congiuntura è favorevole, come documentano anche i dati dello spread, che dicono che c’è un’apertura di credito nei confronti del nostro Paese. In realtà, se fossi nel governo non mi cullerei sugli allori, in quanto i mercati finanziari hanno spesso delle dinamiche che sono semplicemente speculative e hanno interesse soprattutto per guadagni a breve termine di tipo finanziario. Oggi stanno accogliendo l’Italia con favore, ma domani potrebbero voltarci le spalle.
Secondo lei, che cosa si può fare per evitare che ciò avvenga?
L’aspetto più importante è lavorare sui “fattori reali” di ritardo della nostra economia, e da questo punto di vista è importante l’attenzione del nuovo governo al tema della Pubblica amministrazione, non tanto in termini di riduzione della spesa, bensì di miglioramento della qualità dei servizi offerti. Spero soprattutto che il governo avvii presto anche la riforma della giustizia, in quanto uno dei problemi fondamentali per il nostro sistema Paese è la lentezza della giustizia amministrativa che scoraggia moltissimi imprenditori a impiantare le loro attività in Italia.
Come si spiega che l’indice Pmi cresca più rapidamente del Pil?
Il Pil quest’anno crescerà sia pure di poco, ma nel nostro Paese è fatto solo al 18-20% dall’industria e per la restante parte da servizi. Nella stessa industria vanno distinti tre componenti: le aziende essenzialmente esportatrici, quelle distrettuali che rappresentano una via di mezzo e quelle che vendono solo sul mercato interno. Quando parliamo dell’indice Pmi stiamo parlando di un segmento piuttosto limitato rispetto al dato molto più generale del Pil, e quindi non necessariamente ci deve essere un allineamento tra i due.
Perché l’industria ha una performance migliore dei servizi?
I servizi risentono molto dei costi della burocrazia e dell’energia. Dobbiamo considerare che il terreno dove l’Italia era più in difficoltà è proprio l’industria, che è composta soprattutto da settori commerciabili, esposti alla concorrenza internazionale e che risentono di più del fatto che con l’ingresso nell’euro l’Italia non abbia più un cambio flessibile. I servizi sono composti invece da settori non commerciabili, tuttora non soggetti alla concorrenza internazionale, e quindi meno esposti a questo problema. La performance dell’Italia in termini di produttività rispetto al resto dell’Europa è stata molto più negativa nell’industria che nei servizi.
(Pietro Vernizzi)