La produzione industriale italiana nel mese di maggio è calata dell’1,2% rispetto ad aprile e dell’1,8% rispetto a maggio 2013. È quanto emerge dai dati Istat, secondo i cui esperti è “un dato molto negativo, al di là delle previsioni”. E un’altra doccia gelata per il nostro Paese arriva dalla Banca centrale europea, secondo cui “l’impatto della crisi del debito sovrano sui finanziamenti e sui bilanci delle banche ha probabilmente avuto conseguenze più pesanti sulle aziende più piccole, in Italia e Spagna, e che dipendono maggiormente dai prestiti bancari e sulla loro attività reale, come mostrato anche dai primi studi empirici effettuati su dati italiani”. Ne abbiamo parlato con il professor Francesco Forte, ex ministro delle Finanze.
Professore, partiamo dalle considerazioni della Bce. In che senso la crisi del debito si è ripercossa sulle Pmi?
Le banche sottoscrivono debito pubblico, ma vanno in sofferenza ogni volta che investono perché la produzione industriale e il commercio non sono più quelli di una volta. Si sono modificate le strutture del credito nei paesi che emettono molto debito e che hanno più rischio, a danno delle piccole imprese che sono quelle verso cui i crediti sono meno redditizi. È una constatazione inevitabile che da parte della Bce comporta l’adozione delle famose misure non convenzionali.
In che cosa consiste la soluzione prospettata dalla Bce?
Draghi si limita a constatare le conseguenze del debito pubblico dei singoli Stati membri, ma non dice che sarà finanziato dalla Bce, bensì che dovrà essere acquistato dalle banche. La ragione è che quando il tasso d’interesse è basso conviene comprare i titoli pubblici. D’altra parte i bassi tassi d’interesse sono il segnale della deflazione, cioè del fatto che le imprese guadagnano poco, e ciò scoraggia l’investimento nelle imprese. Come ha scritto Keynes, questo è ciò che avviene durante le depressioni economiche. È proprio per questa ragione che Draghi sta cercando di spingere per le misure non convenzionali.
Come valuta invece il dato negativo sulla produzione industriale a maggio?
L’andamento negativo della nostra produzione industriale in maggio in parte dipende dalla riduzione della domanda interna, in parte da come è costruito l’indice della produzione, e in parte dall’andamento dei consumi di energia.
In che senso?
Spesso la riduzione della nostra produzione industriale è influenzata non tanto dal settore manifatturiero, ma innanzitutto da quello dell’energia. Per l’Italia rivestono un peso importante le lavorazioni petrolifere anche per conto di paesi stranieri. Quando c’è un rallentamento congiunturale internazionale, o magari una crisi nell’uso del petrolio, le nostre raffinerie lavorano meno. Ciò non è molto preoccupante perché si riflette poco sull’occupazione, ai cui fini il vero dato importante è l’andamento delle nostre esportazioni. Dal dato sulla produzione industriale constato solo che la ripresa non c’è, ma non penso si possa dire che siamo in una nuova recessione.
Quali risposte sono necessarie da parte del nostro governo?
Come ha sottolineato Draghi, l’andamento divergente delle economie dei paesi dipende dalla loro diversa competitività. Sarebbero urgenti le misure per ridare competitività alle imprese, a partire dalla riforma del mercato del lavoro. In secondo luogo, viene il tema sulla lentezza dei permessi, che riduce gli investimenti esteri nel nostro Paese.
Con quali conseguenze?
Draghi ha fatto notare che è questo il vero motivo per cui Italia, Spagna, Grecia e altri paesi faticano ad allinearsi. Anche per questo il governatore della Bce ha invocato l’emanazione di direttive europee che obblighino alla flessibilità. Il discorso è spostato dalla flessibilità di bilancio a quella del mercato del lavoro, degli investimenti e del sistema giudiziario. La Bce torna a insistere sulle riforme strutturali, e questo mi sembra il migliore commento ai dati Istat.
(Pietro Vernizzi)