“Le nostre stime sulla crescita sono simili a quelle dell’ Fmi e della commissione Ue, ma ci aspettiamo possano migliorare verso l’alto”. Sono le parole del ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, che si trova a New York per ricevere il Gei Award. Il ministro ha aggiunto: “Le previsioni dicono che anche il debito pubblico italiano diminuirà quest’ anno e si stabilizzerà dal prossimo anno. E l’ economia non solo cresce, ma si sta stabilizzando, ed è con la produttività che si può accelerare questa crescita”. Nel frattempo l’Istat ha rilevato una crescita del commercio estero dell’Italia che tra gennaio e febbraio è stato del 2,5%. Ne abbiamo parlato con Francesco Daveri, professore di Scenari economici all’Università di Parma.
Padoan ha ragione a parlare di stime sulla crescita sostanzialmente in linea?
La differenza tra il tasso di crescita previsto dalle varie organizzazioni internazionali e quello inserito nel Def dal governo italiano è soltanto dello 0,1 o 0,2%. È vero che conta ai fini della finanza pubblica, ma è una variazione minimale. Lo stesso Fmi è stato concorde nel rivedere marginalmente verso l’alto le previsioni di crescita per il 2015 rispetto a quanto era stato fatto tre mesi fa. Il ritocco al rialzo è avvenuto in modo un po’ più marcato, di quasi mezzo punto, per quanto riguarda le previsioni di crescita per il 2016 e per gli anni a venire. Le parole di Padoan esprimono quindi il fatto che al di là delle minime differenze il dato comune è che tutte le previsioni vanno nella stessa direzione, e cioè verso un miglioramento rispetto al passato.
Quanto può rassicurarci una crescita che dipende solo dal commercio estero e quindi da fattori esogeni?
Che ciò dipenda solo dalle esportazioni e non dai consumi è tutto da vedere. Dalle previsioni del governo emerge una ripartenza dei consumi, che invece è venuta a mancare negli ultimi anni. È un sintomo del fatto che ci si aspetta che gli 80 euro e la stessa ripresa dell’occupazione lascino un segno nel reddito disponibile.
Bastano gli 80 euro per rilanciare la domanda interna?
Per rilanciare la domanda interna utilizzando la leva fiscale occorre prima tagliare una spesa pubblica che continua a essere troppo alta, in quanto i consumi possono crescere solo grazie a riduzioni d’imposta permanenti.
Perché?
Le famiglie vogliono tendenzialmente consumare le stesse cose ieri, oggi e domani. Se invece il taglio di tasse promesso dal governo è percepito come qualcosa che oggi c’è e domani no, a quel punto le famiglie continueranno a risparmiare. A ciò si aggiunge una situazione di incertezza per quanto riguarda la durata, l’entità e la qualità dei fattori internazionali che hanno consentito una ripresa economica che è già in corso in altri Paesi e che invece in Italia si è vista molto poco.
Lei ha detto che la priorità è tagliare la spesa pubblica. Ma ciò non ridurrebbe ulteriormente i consumi interni?
Se vogliamo tagliare le tasse è indispensabile ridurre la spesa pubblica, e quindi senza una spending review siamo condannati a fare manovre che non avranno un effetto forte e d’impatto. La stessa flessibilità europea non basta, perché significa più deficit, quindi più debito e in futuro ancora una volta maggiori tasse. L’unico modo per uscire da questo circolo vizioso è rendere meno onerosa la macchina dello Stato. È chiaro che ciò comporta la riduzione dei redditi di qualcuno e quindi degli stessi consumi. Finora però un’elevata spesa pubblica ha prodotto dei risultati tutt’altro che positivi. È giunto il momento di provare a ridurre le tasse grazie al taglio della spesa pubblica, sapendo che l’effetto sarà comunque limitato. Meglio non promettere miglioramenti eccessivi perché queste promesse rischiano di essere disattese.
(Pietro Vernizzi)