Con un ritmo di aumento del Pil dell’1% annuo ritorneremo al trend di crescita del 2008 soltanto nel 2027, cioè tra 12 anni. Il calcolo è presto fatto: in sette anni l’Italia ha perso il 6% della sua produzione industriale, ma per ritornare al trend di crescita precedente non dobbiamo aumentare del 6% bensì del 12%. Se non ci fosse stata la crisi, l’Italia avrebbe infatti continuato a crescere grazie anche all’aumento della capacità produttiva reso possibile dall’innovazione tecnologica. E quindi solo tra 12 anni potremo dire di essere tornati ai livelli pre-crisi. A spiegarlo è Gianluca Femminis, professore di Economia politica all’Università Cattolica del Sacro Cuore. Ieri sono arrivati i dati Istat sulla disoccupazione nel mese di maggio, sostanzialmente stabili rispetto ad aprile, segno che senza una più forte crescita economica non sarà possibile creare tanti nuovi posti di lavoro. E a questo proposito non possono che tornare alla mente le parole pronunciate la settimana scorsa da Ignazio Visco, governatore della Banca d’Italia: “Siamo in una fase di ristagno e l’Italia è in ritardo su quasi tutto. Si prevede che solo alla fine di quest’anno il Pil dell’area euro ritornerà ai livelli produttivi del 2008, ma l’economia italiana è ancora molto lontana e ci vorranno diversi anni”.
Professore, che cosa ne pensa dell’affermazione del presidente di Bankitalia?
Sono purtroppo d’accordo con Visco. La crisi dell’euro, e nello specifico quella italiana, è chiaramente anomala. Una crisi congiunturale normale si basa sulle cosiddette “variazioni dei flussi”, come per esempio su un calo dei consumi. Invece nel caso italiano abbiamo chiaramente dei problemi di stock. C’è stato prima un problema di debito privato, con eccessi finanziari di indebitamento. Ma a caratterizzare il nostro Paese è soprattutto un problema di debito pubblico.
Con quali conseguenze?
Stiamo parlando di fattori di ricchezza, non di reddito, e per cambiare la ricchezza di un Paese ci vogliono molti anni. La crisi è un fatto duraturo. Questo poi per l’Italia si innerva anche una in questione di organizzazione dell’offerta aggregata, cioè di stagnazione del sistema industriale connesso a sua volta a fattori di lungo periodo.
Chi parla di ripresa dovrebbe andare più cauto?
Qui dobbiamo distinguere: un conto è la ripresa e un altro il ritorno a livelli pre-crisi. Abbiamo uno scenario di ripresa confermato anche dagli ordinativi dell’industria. Nelle ultime settimane la produzione industriale non è stata particolarmente vivace, ma gli ordinativi sono più che soddisfacenti. Il vero problema è che il contesto di ripresa piuttosto moderata in cui ci troviamo arriva dopo una riduzione del reddito veramente significativa cui abbiamo assistito negli ultimi sei anni.
Di quanto si è ridotto il reddito degli italiani?
Siamo tuttora del 5-6% al di sotto del reddito del 2008. È una situazione decisamente peculiare, di una gravità notevolissima. Pur con un trend di ripresa, una situazione di questo genere non si recupera rapidamente. Bisogna tenere conto del fatto che la produzione potenziale, cioè quella che potremmo raggiungere sulla base dei fattori produttivi e delle conoscenze tecnologiche disponibili, aumenta nel tempo.
E quindi?
Per ritornare a una situazione del tutto comparabile a quella pre-crisi dovremmo anche scontare un aumento del prodotto potenziale non trascurabile. Se noi adesso siamo del 6% al di sotto della produzione del 2008, per ritornare al trend di crescita precedente alla crisi non dobbiamo aumentare del 6% bensì del 12%. Per fare questo ci vorranno parecchi anni, se mai riusciremo a farlo.
Quanto tempo ci vorrà?
Difficile dirlo. Non sono pochi i colleghi, anche tra quanti si occupano di economia industriale, a ritenere che in realtà una parte di ciò che abbiamo perduto è persa per sempre. In alcuni settori abbiamo posizioni che difficilmente potremo recuperare in un orizzonte ragionevole di 5-10 anni.
Anche dopo l’ultima sentenza della Consulta sui contratti della PA, rischiamo di avere una Legge di stabilità 2016 che aggraverà ulteriormente le tasse?
Penso e spero che non sia necessario un aumento della pressione fiscale, e mi aspetto che questo elemento che lei cita sarà affrontato nel 2016. In un contesto di ripresa e quindi anche di aumento del gettito, potremmo evitarci un inasprimento fiscale. La nuova Legge di stabilità non andrà però certamente nella direzione di una riduzione della pressione fiscale.
(Pietro Vernizzi)