Comincio seriamente a pensare che occuparsi delle vicende economiche italiane sia diventato totalmente inutile, almeno se lo si vuole fare senza indossare platealmente la casacca di uno squadra, come fa qualcuno che nel contempo vuole spacciarci la sua autorevolezza accademica come garanzia di imparzialità. Perché il livello di disprezzo che la classe politica “tradizionale” è riuscita a suscitare nei propri confronti da parte dell’elettorato è tale che questo Governo di irresponsabili potrà godere di un clima da luna di miele ancora per mesi. A prescindere da cosa farà fattivamente per il Paese: potranno inanellare un provvedimento-kamikaze dopo l’altro, ma, state certi, la risposta delle gente sarà sempre “e quelli che c’erano prima, cos’hanno fatto?”. È il prezzo da pagare e chi oggi tenta o millanta di fare opposizione abbia la decenza di tacere e pagarne lo scotto.
Come redimersi? Nel caso di Forza Italia è impossibile, finché ci sarà Silvio Berlusconi alla guida con il suo conflitto di interesse perenne non sarà mai un’opposizione credibile a nessun Governo. Fratelli d’Italia? Con il 3% è già un risultato da oscar la sovra-esposizione mediatica di cui gode Giorgia Meloni per gentile concessione di Matteo Salvini. Il Pd? Verrebbe da chiedere quale Pd: quello di Martina? Di Renzi? Di Emiliano? Di Orfini? Di Calenda? Insomma, il Governo è in una botte di ferro. Acritica e impermeabile alla realtà, almeno per ora. Ma solo per ora. E dico questo perché, per quante acrobazie possano mettere in campo a livello di mera propaganda demagogica i dottor Stranamore dell’alleanza giallo-verde, questo Paese non può farcela. Per due criticità, insormontabili.
Partiamo da un dato di fatto: venerdì scorso qualcuno ha comprato Btp dalla tarda mattinata. E col badile. Non si spiegherebbe, altrimenti, la chiusura in rialzo ma non da suicidio collettivo del nostro differenziale di rendimento sul Bund. Anche perché, quando partono dinamiche come quelle che avevano portato lo spread in area 280, se qualche “mano forte” non interviene a controbilanciare, parte la logica auto-alimentante e diventano dolori davvero. Inoltre, le banche hanno patito dei veri e propri bagni di sangue, rispetto ai titoli di Stato. Sintomo che il mercato ha mandato un segnale chiaro rispetto alla denuncia, altrettanto chiara, avanzata la scorsa settimana dalla Banca per i regolamenti internazionali nella sua nota trimestrale: non solo il rapporto incestuoso fra debito di Stato e banche è riemerso in Italia, ma sta prendendo sempre più vigore. Insomma, il problema non è chi vende il nostro debito (soprattutto fondi francesi), ma chi lo compra. I nostri istituti di credito, oltre alla tanto vituperata Bce. Ovvero, l’Europa.
Ora, il ministro Paolo Savona è emerso come ghost-writer di questo Def, immagino con somma gioia del ministro Tria, il quale avrebbe pagato pur di prendere le distanze e rinnegare la paternità di uno scempio contabile e strutturale simile. E sempre Savona ha rivendicato il suo ruolo, seppur indirettamente, dichiarando che quanto avvenuto in Consiglio dei ministri è stato il primo, vero atto di sfida verso la vecchia Europa. «Ora occorre vincere questa guerra», le sue parole bellicose e un po’ millenaristiche. Mi piacerebbe, seriamente, che fosse così. Tanto, default per default, almeno ci facciamo quattro grasse risate, un po’ come i suonatori e i danzatori sul ponte del Titanic. Però sarebbe bello che prima di far partire le truppe per la guerra, si dicesse la verità su questo conflitto. E, soprattutto, si combattesse con dignità. E ad armi pari.
Certamente il Governo si è mosso negli Usa, vedi la visita di Giuseppe Conte a BlackRock – di fatto controllore di Unicredit, Intesa San Paolo e Monte dei Paschi e non solo – e l’invito del Wall Street Journal nella sua edizione di sabato a comprare Btp, poiché «questo è il momento giusto», ma resta un fatto: se deve essere guerra alla vecchia Europa, allora basta con gli acquisti delle Bce di titoli di Stato. Da subito. Anticipiamo la fine del Qe di tre mesi, visto che non si fanno patti con il nemico sul campo di battaglia. E vediamo dove va lo spread: tanto ci sono americani, russi e cinesi pronti a comprare i nostri Btp, vero? Tanto, il ministro Salvini ha detto, dopo aver rassicurato Mattarella sulla manovra, che lui dell’Europa “se ne frega”, ennesima strizzata d’occhio al Ventennio, giusto per corteggiare un po’ blandamente il fecondo campo elettorale di CasaPound e dintorni. E poi, al netto dell’endorsement di Confindustria nei confronti della Lega compiuto sabato a Vicenza dal numero uno di viale dell’Astronomia, Vincenzo Boccia, diciamolo al popolo che stiamo mandando come fanteria contro i mercati che la balla dei poteri forti che remano contro il Governo è appunto tale, una fesseria sesquipedale. Perché se hai dalla tua parte Confindustria, BlackRock (la stessa che i grillini attaccavano, quando a incontrarla era Matteo Renzi, sottolineando come controllasse l’Italia, mentre ora pare che vada bene e sia diventata una Onlus) e soprattutto le banche, di quali poteri forti avversi ti lamenti? Di Calenda, forse? Delle imitazioni di Crozza?
Signori, i nostri istituti di credito hanno in pancia ancora decine e decine di miliardi di debito pubblico (l’ultima rilevazione ufficiale parla di 325 miliardi di euro di controvalore, ma dopo gli ultimi tre mesi, la cifra è sicuramente da vedere – non poco – al rialzo) e stanno ulteriormente caricandosi dallo scorso maggio, mese nel quale hanno acquisto titoli per circa 40 miliardi di euro. Proprio mentre il Governo attuale era ancora in gestazione e a forte rischio di aborto spontaneo: se gli sono così avversi ontologicamente, perché non hanno lasciato salire un po’ lo spread, evitando acquisti di massa? Perché pativano cali delle valutazioni a bilancio? Con il clima che si era instaurato, bastavano tre giorni in area 290 punti base e il “Governo del cambiamento” sarebbe nato solo nei sogni di Salvini e Di Maio, lo sanno anche i sassi.
Dunque, la questione ora è semplice: o i nostri istituti, come la Bce, godono del diritto di stampare soldi o quegli attivi che vanno in acquisti continui di Btp drenano risorse – già limitate, visto il numero di aumenti di capitale fatti negli ultimi periodi – che dovrebbero andare, per mandato, all’erogazione di credito a famiglie e imprese. Ed ecco la prima criticità, quello che gli analisti chiamano doom loop e che nonostante lo spread in recupero di venerdì, ha visto i titoli dei principali istituti chiudere in profondo rosso: senza Bce e senza banche, il nostro debito non lo vuole nessuno. Nessuno. E siccome la Be a gennaio si ferma (salvo ripensamenti auspicabili, ma che imporrebbero un evento di credito enorme, per giustificare un’inversione a U simile dell’Eurotower), restano le nostre banche e qualche fondo estero. Ma BlackRock già compra Btp attraverso gli istituti italiani di cui controlla circa il 5%, salirà ancora con la sua esposizione al nostro debito, mentre tutto il mondo se ne libera?
Mettiamo pure di sì e mettiamo che intervenga qualche altro primary dealer d’Oltreoceano, tipo Citadel, il problema non cambia di molto. Perché se anche in questo modo tamponeremo eventuali impennate dello spread, c’è la seconda criticità, legata anch’essa alla fine del Qe della Banca centrale europea. Nella fattispecie, la fine del programma di acquisto di bond corporate, Cspp, il quale negli scorsi trimestri (è cominciato nel giugno 2016) ha garantito ad aziende europee (francesi e tedesche in testa, ma anche le nostre big, come Snam, Enel, Terna, ecc..) un canale di finanziamento sicuro e a costo zero, visto che le ditte emettevano debito col badile e con qualsiasi scadenza o prezzo e Francoforte comprava in automatico, garantendo liquidità che altrimenti si sarebbe dovuta ottenere attraverso il canale tradizionale del credito bancario, il quale non applica certo le condizioni di favore di Mario Draghi. Da gennaio, però, puff! Finita anche quella facility, si torna a doversi finanziare sul mercato di capitali – quindi dovendo offrire un premio di rischio più alto di quanto pagato finora, per farsi acquistare debito – o su quello bancario, nel caso italiano già sotto stress per la triplice criticità dell’eccesso di detenzione di debito pubblico, la sottocapitalizzazione cronica e le sofferenze ancora da smaltire in parte.
Il tutto, presumibilmente, la prossima primavera, quando la guerra commerciale fra Usa e Cina, se anche rientrata nei ranghi dopo le elezioni di mid-term in America, irradierà i suoi effetti sull’export e sulle valute con i rituali tre mesi di ritardo. Quante aziende italiane reggeranno un combinato di criticità simile, a vostro modo di vedere, magari con un dollaro meno forte e un euro apprezzato e meno competitivo? Ci penserà la flat tax a dar loro respiro? No, perché per le aziende dovrebbe partire nel 2020, ora solo partite Iva. Ci penserà il reddito di cittadinanza e l’attivazione di una trentina di centri per l’impiego in tutto il Paese? Ne dubito, ma sapete che io sono un pessimista, magari saranno un vero toccasana. Ci penserà la riforma delle pensioni, ammesso e non concesso che veda mai la luce la famosa quota 100 (ormai variabile quanto le aliquote della presunta flat tax)? Forse no.
Signori, non se ne esce. Sperate anche voi nell’effetto moltiplicatore della spesa? Auguroni, immagino che poi scriverete la letterina a Babbo Natale e porterete l’unicorno a fare pipì. E quando ci dicono che questa manovra è assurda, perché non solo è totalmente a carico delle future generazioni, ma perché va nel verso contrario a ciò che servirebbe, ovvero la riduzione di carico del debito e il finanziamento eventualmente a deficit di uno shock fiscale sul costo del lavoro, il famoso “cuneo”, non lo dicono perché odiano il “Governo del cambiamento”, ma perché i numeri non sono interpretabili. Sono quelli, per quanto tu voglia cambiargli il nome. A quel punto, pensate che il Nord produttivo perdonerà a Matteo Salvini di aver ceduto allo stanziamento di 10 miliardi per il reddito di cittadinanza, ovvero una misura meramente assistenziale che diverrà il Klondike di chi non ha voglia di fare niente o magari già lavora in nero e godrà così di doppio reddito, non essendoci di fatto enti preposti al controllo (e quelli che ci sono, sappiamo come funzionano anche per chi un lavoro ce lo ha già, magari per lo Stato, visto che per un “furbetto del cartellino” smascherato, almeno dieci la fanno franca)?
Poco mi importa, problemi del ministro dell’Interno. Il fatto è che quelle stesse aziende rischieranno di chiudere. E non a decine, potenzialmente a centinaia, trattandosi di Pmi che si troveranno senza credito, se non quello bancario a cifre e con garanzie richieste fuori portata. E allora hai voglia a fare condoni, pardon “paci fiscali”, per far ripartire i capannoni: ci sarà una strage di quegli stessi capannoni, peggiore di quelle post-2011. E questo non è pessimismo, né disfattismo: è realismo, basta guardare i fatti. Basta, già oggi, andare in una banca e vedere le condizioni che applicano e le garanzie che richiedono per un prestito anche non enorme, non parliamo dei fidi. Anzi, fate un giro in una filiale qualsiasi il 15 del mese, quando arrivano i conti delle carte di credito: l’intera giornata viene dedicata alle telefonate ai clienti che hanno “splafonato” sul conto corrente, spendendo a debito (un po’ come il Governo). E non si mobilita il personale per poche chiamate a chi sconfinato per un paio di migliaia di euro, si telefona a strascico, anche a chi è in rosso di qualche centinaio di euro in tutto.
Chi vive nel mondo reale, soprattutto se imprenditore, sa che già oggi la realtà del Paese è questa. Vi pare un segnale di grande salute del nostro sistema bancario, per caso, rincorrere come uno stalker chi è in rosso di 70 euro, applicandogli poi penali sullo sconfinamento se non rientra il giorno stesso? E parliamo dello stesso sistema bancario che i suoi attivi deve usarli giocoforza per comprare Btp per calmierare lo spread, alla faccia della narrativa sui “poteri forti” che sarebbero contro questo esecutivo di Che Guevara all’amatriciana e Don Chiosciotte coi risparmi degli altri, come direbbe – in maniera più volgare – quel vero, misconosciuto e sottovalutato Nobel per l’Economia e lo stare al mondo di Stefano Ricucci. Sono il solito pessimista? Forse, ma, come vi dico sempre, il tempo è galantuomo e i fatti sono pietre.
Proprio nel fine settimana, uno dei marchi storici dell’abbigliamento italiano, Stefanel, ha dovuto alzare bandiera bianca, ammettendo sul proprio sito che la bocciatura dei numeri semestrali dell’azienda ha portato alla non convocazione del CdA atteso per il 27 del settembre. Il problema? Il piano di ristrutturazione concordato nel dicembre 2017 è stato attuato solo in parte e i numeri attesi per i prossimi mesi mettono a rischio la stessa continuità aziendale. Ovviamente, nella nota si fa riferimento al “caldo prolungato” e anomalo di quest’estate che avrebbe impattato sulle vendite autunno/inverno, ma come stanno veramente le cose voi lo sapete da quasi un anno. Esattamente, da 11 mesi, quando pubblicai questo articolo. E di cosa parlava, prendendo ad esempio plastico proprio la Stefanel e le sue continue difficoltà di cassa? Di aziende zombie, ovvero quelle mantenute in vita artificialmente solo dal clima di euforia indotta dal Qe e dal suo diluvio di liquidità a costo zero. Terminato il quale, il redde rationem sarebbe arrivato puntuale. Ed ecco il primo, addirittura in anticipo sul taper della Bce. E attenzione, perché di Stefanel, in giro per l’Italia e l’eurozona, ce ne sono a centinaia, non decine.
Sapete infatti di cosa parlava l’ultimo report di Goldman Sachs relativo alla fine dei cicli di espansione monetaria? Del rischio globale di default wave nel ramo corporate, una bella ondata di fallimenti. Stessa denuncia contenuta nella nota trimestrale della Banca per i regolamenti internazionali pubblicata la settimana scorsa. Tutti pessimisti come il sottoscritto? O, magari, solo realisti e non degli irresponsabili come chi ci governa e chi ne tesse le lodi? Ma a noi cosa importa, abbiamo il reddito di cittadinanza, abbiamo abolito la povertà per legge! Di più, abbiamo dichiarato addirittura una guerra epocale contro la vecchia Europa. La stessa che, finora e con i suoi mille difetti, ci ha mantenuto in vita. Anche se l’armata Brancaleone al governo e i suoi cantori non lo ammetteranno nemmeno sotto tortura. Attenti, amici miei, ora non si scherza più con le parole. Ora si fallisce.