IMU 2025: acconto in scadenza il 16 giugno; disparità tra categorie catastali A/2 e A/3. Agevolazioni solo per affitti concordati in 20 città
L’acconto IMU 2025, con scadenza fissata per il prossimo 16 giugno, mette sotto pressione i proprietari di seconde case, i cui esborsi dipendono non solo dalle aliquote comunali – che nei grandi centri risultano quasi sempre fissate al tetto massimo – ma soprattutto dalla classificazione catastale degli immobili e nei 30 principali Comuni italiani, le abitazioni di categoria A/2 (civili) pagano in media il 63% in più rispetto alle A/3 (economiche), con punte che in alcuni casi arrivano quasi a raddoppiare l’imposta: a Milano, ad esempio, un appartamento sfitto in categoria A/3 genera un’imposta annua di 1.221 euro, mentre uno in A/2 sfiora i 2.628 euro, anche se possono avere caratteristiche simili.
Lo scarto è ancora più evidente a Bologna, dove le abitazioni A/2 – che rappresentano appena un settimo delle A/3 – sono gravate da rendite catastali più elevate (1.487,90 euro), trasformandosi in un’IMU che per una casa sfitta raggiunge i 2.650 euro l’anno e questa sproporzione nasce da una classificazione catastale spesso datata, che non riflette lo stato attuale degli immobili né il loro effettivo valore di mercato: case simili, con gli stessi metri quadri e condizioni strutturali simili, vengono tassate in modo profondamente diverso.
L’Agenzia delle Entrate ha rafforzato i controlli sui casi in cui mancano aggiornamenti dovuti a ristrutturazioni, ma la situazione generale resta invariata e solo 5 Comuni su 30 – Aosta, Cagliari, Milano, Modena e Ravenna – prevedono aliquote leggermente agevolate (sconti all’1 per mille) per gli affitti a canone libero, che restano comunque un’eccezione.
IMU e agevolazioni: gli sconti per gli affitti concordati e il tema delle A/4
Un elemento che consente ai contribuenti di ridurre l’IMU, oltre alla categoria catastale, è la destinazione dell’immobile, in quanto, gli affitti a canone concordato godono di aliquote agevolate in 20 capoluoghi su 30, con differenze che possono arrivare fino a 4 per mille rispetto alle case sfitte, come nel caso di Bari, mentre a Cagliari, ad esempio, un appartamento in categoria A/2 con contratto concordato 4+4 paga 1.688 euro l’anno anziché 1.864, invece a Milano la stessa tipologia consente di scendere da 2.628 a 2.104 euro.
Un’altra novità si avrà dal 2026, quando il decreto attuativo sulla riforma dei tributi locali potrebbe semplificare l’accesso alle agevolazioni, rimuovendo la necessità di presentare dichiarazioni aggiuntive per dati già disponibili presso l’amministrazione comunale ma restano ancora fortemente penalizzate le abitazioni non classificate in A/4, categoria che continua a garantire le imposte più contenute: a Napoli, ad esempio, una casa A/4 paga in media 410 euro di IMU annui, mentre una A/2 arriva a 1.641 euro.
Il problema è che solo il 13,8% del patrimonio immobiliare nei capoluoghi appartiene a questa categoria, e la percentuale è in calo costante a causa della graduale ristrutturazione di vecchi edifici che però non vengono riclassificati: il risultato è un’imposta fortemente sbilanciata, in cui la rendita catastale – più delle scelte politiche dei singoli Comuni – determina il carico fiscale effettivo, generando mancanza di uniformità tra proprietari di immobili simili per valore e collocazione, ma formalmente appartenenti a classi differenti.