A differenza di quanto scrivono alcuni (disinformati) giornalisti non è la prima volta che un Presidente della Repubblica respinge le dimissioni del Presidente del Consiglio rinviandolo alle Camere e chiedendo, con ciò, la parlamentarizzazione della crisi.
Giorgio Napolitano respinse le dimissioni di Prodi nel gennaio del 2008 ritenendo che non vi fossero alternative di percorso. Prodi poi non ottenne la fiducia al Senato e rimase in carica sino al maggio dello stesso anno, dopo la tornata elettorale che portò alla vittoria del centrodestra e al Governo Berlusconi.
Non è neppure la prima volta che un Presidente della Repubblica tenta tutte le strade pur di non sciogliere anticipatamente le Camere, come avvenne nella XIII legislatura, Presidente Scalfaro, che vide un primo Governo Prodi, poi due governi D’Alema e il cosiddetto governo elettorale di Amato. Le ragioni che hanno condotto il Presidente Mattarella a tenere in piedi l’attuale legislatura sono ovviamente diverse: la pandemia prima e la guerra oggi costituiscono infatti più che sufficienti ragioni che richiedono continuità di governo.
Insomma la crisi odierna ha sicuramente precedenti “costituzionali”. Ciò che è diverso è, oltre il contesto politico interno e internazionale in cui si colloca, anche l’inedito (questo sì) di un governo che il Presidente della Repubblica ha voluto quale governo “senza formula politica” che in altre occasioni ho ribattezzato governo dei “due Presidenti” (quello della Repubblica e quello del Consiglio). Le ragioni della nascita di tale formula sono note: la necessità di attuare il Pnrr e l’uscita dalla pandemia, cui oggi si aggiunge la crisi internazionale.
Nonostante tali fortissime ragioni è scoppiata la crisi. Solo colpa del Movimento 5 Stelle? Non credo.
Ritengo che la crisi attuale sia la crisi di questa non-formula politica, sia cioè la crisi di un governo costruito appositamente oltre la volontà dei partiti e del Parlamento, sebbene venga sostenuto dai partiti e sebbene il Parlamento (pur se sempre a colpi di fiducia) ne voti i relativi provvedimenti. Basti pensare alla riforma della giustizia che, nonostante l’amplissima maggioranza parlamentare, è stata votata con il doppio voto di fiducia, alla Camera e al Senato.
Basti anche pensare al fatto che gli appelli che si moltiplicano in questi giorni per la permanenza di Draghi provengono da forze politiche tutto sommato laterali (Italia Viva, Azione…) e non dai soci di maggioranza del Governo. Lo stesso Pd sembra in questi ultimi giorni più titubante di qualche settimana fa sulle sorti della legislatura.
Insomma, come ha affermato con lungimiranza Draghi, la maggioranza di unità nazionale che ha sostenuto il governo dalla sua creazione non c’è più ed è venuto meno il patto di fiducia alla base dell’azione di governo.
Il che, a meno di un anno dalla fine naturale della legislatura (marzo 2023) non è poi così drammatico. Questo Governo non potrebbe, tranne che lo volessero i partiti, andare oltre le elezioni politiche dell’anno prossimo, non potrebbe più esserci, insomma un governo dei due Presidenti, senza formula politica.
Ed è anche giusto che sia così: in una forma di governo parlamentare la responsabilità dell’indirizzo politico ha radice nella formula politica: questo periodo, è stato – e giustamente – un periodo straordinario da tutti i punti di vista. Ma è ora giunto il momento che si torni nei binari della normalità politica, che le elezioni siano ad ottobre 2022 o marzo 2023, da questo punto di vista poco importa. Ciò che importa è che i partiti, quelli attuali e quelli che usciranno vincitori dalla competizione elettorale di marzo, si facciano carico (o vengano costretti dal Presidente della Repubblica a farsi carico) della responsabilità di guidare il Paese nelle prossime sfide e nei prossimi anni, cruciali per il Paese.
Se fosse Draghi a traghettare questo periodo, sino a marzo del 2023, sarebbe certamente auspicabile per il Paese e per la continuità dell’azione governativa, ma a patto che la sua azione possa davvero essere efficace.
Perciò, in conclusione, sarebbe forse stato meglio se il Presidente Mattarella avesse accettato le sue dimissioni, per poi conferirgli nuovamente l’incarico, costringendo così i soci di maggioranza del Governo ad un reale chiarimento sugli obiettivi politici di governo.
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