Un inferno. Le case distrutte, nessun riparo, se non qualche tenda, per proteggersi dalla pioggia che scende copiosa. La gente costretta a vivere per le strade, senza cibo, possibilità di curarsi, camminando in mezzo ai morti abbandonati, senza avere servizi igienici e strumenti per difendersi dalle malattie e dalle epidemie. I bambini rimasti senza genitori vagano per i centri abitati senza una meta e non sanno a chi rivolgersi per avere da mangiare e da bere. Quella dei palestinesi nella Striscia di Gaza è una vita ai limiti dell’umano, in cui non c’è più rispetto di niente, del dolore per la perdita di mamma e papà, per una ferita causata da una bomba o da un proiettile.
Padre Ibrahim Faltas, vicario della Custodia di Terra Santa, la racconta così questa esistenza, con il cuore straziato dalle parole delle persone che sono rimaste lì e che lui sente tutti i giorni, in un territorio nel quale è impedito a chiunque di entrare, in cui gli aiuti arrivano con il contagocce: una regione nella quale c’è bisogno di tutto ma non può arrivare quasi niente, perché le “superiori” ragioni della guerra devono prevalere. Il bilancio ufficiale delle vittime secondo il ministero della Sanità di Gaza è di 25.700 morti. Ai quali si aggiungono 10mila persone rimaste sotto le macerie e chissà quante altre che ufficialmente non vengono calcolate. Giovedì almeno 20 persone sono state uccise persino mentre ricevevano aiuti umanitari. Nella stessa occasione ne sono state ferite 150. Il giorno prima ne sono decedute 10 in un attacco a un centro ONU a Khan Yunis: uno scenario che parla solo di morte. L’unica nota di speranza viene dal progetto di portare 40 bambini in Italia per essere curati.
Padre Faltas, com’è la situazione a Gaza ora? Cosa raccontano le persone che cercano di sopravvivere alla guerra?
La situazione è sempre più grave; aumentano i morti, i feriti, gli orfani. Non c’è più possibilità di venire curati, né in ospedale, né altrove: tantissimi bambini feriti sono morti proprio per questo, perché non c’era modo di curarsi. Tutte le strutture sanitarie sono fuori uso. Se qualcuno viene colpito, purtroppo rimane per strada ad aspettare che la sua sorte si compia.
Ora si rischia la vita anche se ci si mette in fila per ricevere aiuti umanitari.
Venti persone sono morte così. La situazione è sempre peggio: la gente ci ha raccontato quello che è successo mentre stavano per prendere gli aiuti. Hanno sparato proprio in quel momento. Gli aiuti di solito sono distribuiti dall’ONU, di per sé dovevano sapere che era in corso la distribuzione. Ma ormai a Gaza non si capisce più niente: si vedono solo morti, feriti e distruzione.
Da settimane ormai nella Striscia è difficile reperire cibo: gli aiuti arrivano o sono ancora bloccati?
Il presidente egiziano ha appena detto che a Gaza entrano pochissimi aiuti, che non sono assolutamente sufficienti a rispondere alle esigenze della popolazione. Non c’è cibo, non c’è acqua. Dalla gente che è rimasta lì sento solo raccontare che è tutto distrutto, che il 70% delle persone che sono morte sono bambini, donne, anziani, disabili. Più di 40mila minori sono rimasti orfani: non c’è nessuno che se ne occupa. C’è solo la guerra.
Come stanno i cristiani che hanno trovato riparo nella chiesa ortodossa e nella chiesa latina?
Duecento di loro sono rifugiati nella prima, 600 nella seconda: hanno perso le loro case e si sono trasferiti in questi conventi. Le altre persone sono per le strade, nelle tende. E adesso c’è anche la pioggia, c’è il freddo. Pioggia anche forte, prevista fino a domenica, mentre le persone non hanno un posto per ripararsi, rimanendo esposte al pericolo di malattie: moltissimi sono morti per questo motivo.
I numeri ufficiali parlano di quasi 26mila morti: un bilancio al ribasso?
Quelli sono i morti che sono stati registrati negli ospedali. Poi ci sono quelli deceduti per motivi di salute, quelli rimasti sotto le macerie, molti cadaveri sono stati abbandonati nelle strade, senza una sepoltura degna. Ci sarebbero almeno altre 10mila persone morte così. Tantissimi non riescono a sopravvivere perché non possono più prendere le medicine di cui hanno bisogno: ci sono 400mila persone che non hanno più a disposizione i farmaci dei quali necessitano per curare le loro patologie. Non ci sono. E se mancano, le persone possono anche morire: sono passati ormai quattro mesi senza medicine. Manca tutto.
Uno dei pericoli paventati era quello delle epidemie: una previsione che ha trovato conferma?
Sì, ci sono moltissimi malati. Siamo in una situazione incredibile, non ci sono le parole giuste per descriverla. È un inferno: a Gaza non ci sono luoghi sicuri, non lo sono le chiese, le moschee, le scuole. Tutto è stato bombardato.
Si riesce almeno a mantenere le comunicazioni con le persone rimaste, con quelle radunate nelle chiese, ad esempio?
Io parlo tutti i giorni con il padre della chiesa latina, un egiziano; c’è anche una suora del Rosario. Conosco anche altra gente di Gaza e riesco a parlare con loro. Le persone rifugiate nella chiesa avevano delle scorte che adesso hanno finito, devono cercare di comprare i beni, ammesso che riescano a trovarli. Se ci sono, comunque, i prezzi sono molto cari. Si cibano di quello che c’è. Ci sono 600 persone che sono lì da 110 giorni, con i loro bisogni: mangiare, bere, andare in bagno. È impossibile vivere così. Non hanno niente. E sono stati colpiti dalle bombe anche lì.
Una situazione che ha ripercussioni anche fuori da Gaza?
Anche a Gerusalemme la gente ha perso il sorriso. I bambini che frequentano le nostre scuole sono cambiati dopo il 7 ottobre, non posso immaginare che cosa stia succedendo a quelli di Gaza. E anche dall’altra parte, Israele sta pagando: ci sono molti soldati morti e feriti.
I bambini sono i più colpiti dalla guerra, secondo Save The Children ne sarebbero morti 11.500. È possibile dare una speranza almeno a loro?
Stiamo lavorando per portare 40 bambini di Gaza in Italia con un accompagnatore, perché possano essere curati al Bambin Gesù di Roma, al Meyer di Firenze, ma anche al Gaslini di Genova e al Rizzoli di Bologna. Se ne sta occupando anche il Governo italiano con le autorità egiziane e israeliane. Sono bambini che per la maggior parte hanno ferite dovute alla guerra, che non hanno possibilità di essere curati a Gaza: abbiamo fatto una lista di casi che conosciamo. Potrebbero partire in qualsiasi momento. Quando sarà tutto pronto il Governo italiano manderà un aereo a prenderli.
(Paolo Rossetti)
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