Inflazione USA 2025: cala al 2,3% ad aprile con +0,2% mensile ma le tariffe di Trump e i rischi estivi potrebbero invertire il trend e riaccendere i prezzi
Inflazione in calo negli USA: l’indice dei prezzi al consumo (CPI) statunitense ha registrato ad aprile un rallentamento inaspettato, scendendo al 2,3% su base annua, il livello più basso da febbraio 2021 mentre il dato mensile – cresciuto dello 0,2% – ha superato le previsioni degli economisti che stimavano un +0,3% segnalando un alleggerimento delle pressioni inflazionistiche in settori determinanti come l’alimentare, in calo dello 0,4% mensile e i trasporti.
Il crollo del 12,7% nel prezzo delle uova con una dozzina scesa a 5,12$ ha chiuso il ciclo di rialzi legati all’influenza aviaria, anche se su base annua l’aumento resta al 49,3%: questo respiro per i consumatori potrebbe però rivelarsi effimero, perché le tariffe doganali aggressive introdotte dall’amministrazione Trump – anche se parzialmente ridotte o sospese – potrebbero riaccendere l’inflazione già nei prossimi mesi.
Le aziende, infatti, hanno finora assorbito parte dei rincari grazie a scorte accumulate prima dell’entrata in vigore dei dazi ma con l’esaurimento degli inventari i costi potrebbero riversarsi sui prezzi finali e settori come l’elettronica (+0,5% mensile) e i veicoli usati (+1,2%) mostrano già segnali critici mentre la domanda debole in servizi come alloggio e trasporti ha contribuito a contenere l’indice generale.
Inflazione USA tra alleggerimento temporaneo e l’incubo del 3%: le previsioni degli economisti
Nonostante il dato positivo di aprile, gli analisti avvertono che questo potrebbe essere il punto più basso dell’inflazione nel 2025, e Ben Ayers di Nationwide prevede un balzo del CPI oltre il 3% entro l’estate, trainato dall’impatto pieno delle tariffe rimanenti su acciaio, alluminio e beni di consumo mentre Tyler Schipper – economista dell’Università di St. Thomas – ribadisce come l’attuale calo rifletta una “tempesta perfetta” di fattori temporanei, tra cui l’assorbimento dei costi da parte delle imprese, la domanda contenuta e le politiche tariffarie non ancora fully priced in.
Intanto, la Federal Reserve monitora il core CPI, che esclude cibo ed energia e rimane fermo al 2,6% annuo, segnale che le pressioni sottostanti persistono e l’incertezza economica – messa ancor più in evidenza dal calo dello 0,4% annuo nella domanda di beni durevoli – spinge le famiglie a limitare gli acquisti non essenziali, creando così un circolo vizioso che potrebbe frenare la crescita.
Con l’estate alle porte, il rischio è un rialzo inflazionistico determinato non solo dalle tariffe ma anche da eventuali shock energetici o nuove tensioni nelle catene di approvvigionamento e la combinazione di questi elementi potrebbe costringere la Fed a rivedere le sue attuali politiche monetarie, complicando il percorso verso il target del 2% e riaprendo il dibattito sull’equilibrio tra controllo dei prezzi e sostegno alla crescita.