L’inflazione in America a novembre è salita al 2,7% dal 2,6% di ottobre mentre il dato “core”, al netto di energia e alimentari, è stato del 3,3%; in entrambi i casi sono state rispettate le attese. Gli investitori, a una settimana dalla riunione della Fed, scontano con una probabilità vicina al 100% un altro taglio dei tassi; nel corso del 2025 al momento si scontano altri due tagli in un quadro però molto più incerto rispetto alle attese sulle mosse della Bce. Per la prima volta da febbraio tutte le principali categorie dell’inflazione mostrano un incremento; la parte “core” dei beni registra il maggiore incremento del 2024. Gli investitori, sotto la superficie, hanno letto nei dati di ieri un’inflazione persistente e la fine del suo rallentamento; sono saliti i rendimenti delle obbligazioni statali americane, è salito il dollaro, l’oro e i Bitcoin in un movimento coerente con attese di maggiore inflazione.
Solo a gennaio gli investitori sapranno se il Presidente eletto Trump stia minacciando dazi in un’ottica negoziale oppure se si farà sul serio. Una politica commerciale protezionistica è inflattiva e ciò verrà incluso nelle valutazioni della banca centrale americana e nelle sue decisioni sui tassi. La scommessa del Presidente eletto è che i benefici, in termini di industria e posti di lavoro, siano maggiori dei costi, ma questo non sposta le valutazioni degli investitori sulle attese di inflazione. Quello che emerge è che nonostante alcuni settori economici stiano rallentando l’inflazione ha smesso di scendere.
C’è un secondo punto ormai evidente. Cresce l’attenzione per indici “alternativi” in cui, dalla Fed di San Francisco a quella di Atlanta, si misura, per esempio, la componente non ciclica dell’inflazione. Nelle analisi degli investitori viene inclusa l’inflazione “core” e poi “supercore”, si escludono, si includono o si ritarano le componenti più difficili da misurare come, su tutte, quelle sul costo dell’abitazione. A lato dei numeri ufficiali compaiono poi indici del tutto autonomi rispetto a quelli del Dipartimento del lavoro che misurano il movimento dei prezzi in modo indipendente. Il numero sintetico perde rilevanza e implicitamente viene accusato di non saper esprimere l’aumento dei prezzi così come viene percepito o subito dalla maggioranza della popolazione. C’è un’inflazione ufficiale e poi ci sono altre inflazioni più o meno ufficiali. Per la maggioranza delle famiglie il numero di voci veramente importante è solo una parte dell’indice generale. Nessuno, per esempio, si sogna di cambiare la macchina se ha il problema della spesa per alimentari o di altri beni necessari.
L’economia non sta rallentando come ci si attendeva dodici mesi fa, l’inflazione per quanto persistente permette ancora di sposare uno scenario di medio termine di normalizzazione e nel frattempo sono già arrivati i tagli delle banche centrali e i cali dei rendimenti obbligazionari. In questo scenario i mercati hanno potuto continuare a salire e aggiornare i nuovi massimi, l’inflazione rimane però attenzionata per tante ragioni sia sociali e politiche che finanziarie. I prezzi sono una delle possibili sorprese del 2025 soprattutto se Trump darà seguito alle minacce sui dazi.
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