Ingiusta detenzione, per Alberto Stasi ipotizzabili 3-4 milioni se assolto in revisione del processo: l’errore giudiziario esclude il tetto al risarcimento
L’ipotetico percorso verso il riconoscimento dell’innocenza di Alberto Stasi nel caso di Garlasco, e la conseguente ingiusta detenzione, richiederebbe l’avvio della revisione del processo, un meccanismo giuridico decisamente complesso che rappresenta una sorta di appello straordinario legato a circostanze sopraggiunte in un secondo momento e – come spiegano gli esperti di diritto – uno Stato garantista deve prevedere strumenti che prendano in considerazione il fatto che non esista una verità processuale assoluta, specialmente quando si tratta di esigenze della certezza del diritto da un lato e della giustizia dall’altro.
La revisione presenta dei requisiti ben specifici e rigorosi: sono necessarie nuove prove che possono essere state già valutate in precedenza ma che hanno portato a esiti diversi, oppure, è indispensabile che nel frattempo ci sia stata una sentenza che ha modificato i presupposti di quella emessa e sulla quale si chiede la revisione, ma non si tratta di una facoltà che spetta esclusivamente all’imputato, in quanto, la domanda può essere avanzata anche dalla procura e dal procuratore generale della corte d’appello, senza limiti massimi nel numero di istanze presentabili.
Nel caso specifico di Stasi, l’avvocato Antonio De Rensis ha dichiarato che il rispetto per chi sta indagando li porta a mettere l’ipotesi di una possibile revisione in secondo piano, ribadendo come consideri troppo affrettato e prematuro ipotizzare ora un ricorso alla corte d’appello di Brescia, ma comunque, la situazione ad oggi è molto diversa dal tentativo del 2017, quando i giudici lombardi dichiararono il non luogo a provvedere su una richiesta di attivazione delle indagini, in quanto adesso, i magistrati di Pavia hanno riaperto concretamente le indagini sul caso Garlasco, con un nuovo indagato e un nuovo capo di imputazione.
La quantificazione del danno per ingiusta detenzione e i meccanismi di risarcimento per errore giudiziario
Nel caso ipotetico in cui Stasi venisse dichiarato innocente attraverso una revisione del processo, la quantificazione del risarcimento seguirebbe criteri specifici previsti dalla normativa italiana, con numeri che potrebbero raggiungere complessivamente i tre o quattro milioni di euro ma è fondamentale distinguere tra ingiusta detenzione (che riguarda chi viene arrestato e poi prosciolto), ed errore giudiziario (categoria che si applicherebbe al caso di Stasi nel momento in cui venisse scarcerato dopo la revisione).
Questa distinzione non è un semplice cavillo linguistico, in quanto, significa concretamente che la richiesta di risarcimento – teoricamente – potrebbe non avere alcun limite fissato, e secondo la normativa italiana in vigore, ogni giorno trascorso ingiustamente in carcere dà diritto a un risarcimento di 235,82 euro, con un limite massimo di mezzo milione di euro per le richieste ordinarie, ma comunque, questo sbarramento non si applica ai casi più gravi, quelle sulle quali è intervenuto un errore così clamoroso da aver reso necessario il ricorso alla revisione.
Considerando che Stasi è rinchiuso dal 2015 – circa dieci anni di detenzione – solo sul piano della privazione della libertà si potrebbero contare quasi 800mila euro, ai quali andrebbero aggiunti i danni psicologici e morali, determinati caso per caso e che non posseggono tariffario fisso; un elemento particolare, poi, riguarda il recupero delle somme già versate perché Stasi ha risarcito la famiglia Poggi con 850mila euro, indebitandosi per pagare questa cifra, e se un procedimento di revisione lo scagionasse, si aprirebbe la strada a un possibile contenzioso civile per il recupero dei soldi spesi.
Il deputato di Forza Italia Davide Bellomo ha presentato un’interrogazione urgente al ministro della Giustizia, dichiarando che nessun cittadino può rimanere privato della libertà personale mentre la stessa giustizia che lo ha condannato nutre – pubblicamente e processualmente – il dubbio che possa essere innocente, chiedendo se il criterio della revisione in vigore non sia inadeguato a tutelare la dignità della persona condannata.