IO CREDO/ Un viaggio nella più (ab)usata delle parole tra male, bellezza e solitudine

- Marco Pozza

Dio è la più pesante di tutte le parole. Ma cosa è rimasto oggi di Dio? Ne parlano in tv Papa Francesco, don M. Pozza, Salvatore Natoli, don B. Gobbo

iocredo pozza natoli 1 1280 640x300 Il filosofo Salvatore Natoli (foto M. Pozza)

Dio è il nome più (ab)usato della storia, la più pesante di tutte le parole: imbrattata, lacerata, beffeggiata. Ammazzata questo no: pare più intelligente la condanna all’esilio, l’esposizione al ridicolo. Dio non è stato sfrattato dalla città degli uomini: molto più semplicemente Gli abbiamo ridotto gli spazi abitativi. Se lo incontrassimo per strada, gli domanderemmo i documenti: “Patente e libretto, per cortesia?”.

Il cristiano, però, quando usa il pronome “io” è come se esibisse il proprio stato di famiglia: io è abbreviazione di Dio, ogni figlio è l’abbreviazione del padre. Vive di un’intelligenza tosta, dunque, il cristiano. Si ostina a ripetere quel nome per allenarsi a pronunciare bene il proprio nome: “Credo in Dio, Padre onnipotente, Creatore del cielo e della terra”. Dio, dunque, all’inizio del parlare di tutti: di chi lo loda o lo bestemmia, lo nega o lo abbraccia, lo cerca o lo rifiuta. Il suo nome è inciso dappertutto, così d’essere esposto alle intemperie del tutto: sulle lapidi a bordo strada, sulle rocce delle montagne, sulle cinture dei nazisti, sul tufo granulare delle catacombe. Nel cuore dell’uomo: “Dio! Dio! Dio! Se lo vedessi! Se lo sentissi! Dov’è questo Dio?” è il grido dell’Innominato nel XXIII capitolo de I promessi sposi. Il grido disperato di chi, per amore, ammette che in cuore suo batte forte la presenza di un’assenza: “Nel cuore di ogni uomo c’è un vuoto che ha la forma di Dio” (B. Pascal). Credo in Dio, dunque: pronti-via.

Ma qual è il Dio in cui il cristiano giura, apertamente, di credere? È facile comprenderlo fino a quando non si tenta di spiegarlo. Che poi, ad esser sinceri, se avesse voluto farsi spiegare da qualcuno non si sarebbe fatto conoscere. Se avesse voluto essere un grande segreto – come diceva simpaticamente Brault – non avrebbe creato ruscelli e pini che sussurrano dappertutto il suo nome.

“È padre” rispondiamo tutti assieme. La sua paternità, dunque, è l’attestazione più profonda che il mondo degli uomini non è frutto del caso; c’è un Padre che non rifuggirà mai dai suoi obblighi: “Se Dio esiste, chi è? – si chiedeva Gesualdo Bufalino –. Se non esiste, chi siamo?”

“È onnipotente mio Padre, sai?” ama dire il cristiano. Se, dunque, da padre può tutto il bene possibile per i figli, da dove ci viene tutto questo male? Se esiste, da dove viene il male? Ma se non esiste, da dove viene tutto questo bene? Lo professiamo pure Creatore, l’attestazione più alta di fantasia: dal nulla ha creato tutto e tutti, per poi amare ciascuno come se fosse l’unico pezzo d’arte presente nel mondo. Di padri che abbandonano i figli è piena la storia, di onnipotenze illusorie è zeppa la lista, di creazioni tarocche è ubriaca la fiera. Perché Dio dovrebbe essere diverso? “Le domande urgevano. Bisognava rispondervi subito, se non rispondevo non avrei più potuto nemmeno vivere. Ma io non avevo risposte” ammette Tolstoj ne La confessione. Dunque?

“Io credo in Dio che è Padre, onnipotente, creatore e redentore. Con i primi tre (padre, onnipotente, creatore) non è sufficiente” mi ha confidato il Papa. Mica male come aggiunta: negli incidenti interverrà, restaurerà le mura cadenti, nulla di tutto ciò che è bene per l’uomo si sottrarrà dal farlo. È Dio-creatore, anche un Dio redentore-restauratore. “Cosa è rimasto del cristianesimo, professore?” ho chiesto al filosofo Salvatore Natoli: “Non più un Dio che libera dal dolore e dalla morte, ma il Dio che condivide il dolore, la morte. Un Dio che condivide il dolore e la morte, e non libera più dal dolore e dalla morte”. Dunque un Dio-non-Dio: è la redenzione l’inedito del Dio–matto dell’uomo. Non proprio una bazzecola.

C’è da fidarsi oppure no, allora? “Non ci si fida di chiunque, ci si fida di chi ha dato prova, nel tempo, di essere affidabile – ha continuato il professore –. La fiducia si trasforma in dare fiducia a partire dall’affidabilità”. La mia professione di fede inizia così: “Credo-in”. Satana, lo sporco lurido – “Rinuncio a Satana!” – vorrebbe iniziasse in maniera diversa: “Credo-che”. Buffone, intelligente però: chi non crede in Dio non crede per forza nel Demonio. Crede un po’ a tutto.

Questa sera, alle ore 21.05 su TV2000 (canale 28), la prima puntata di “Io credo”, il nuovo programma di M. Pozza e A. Salvadore con la partecipazione di Papa Francesco. Ospiti della puntata, dal titolo “Io credo in Dio”, saranno, oltre a Papa Francesco, il filosofo Salvatore Natoli e don Beppe Gobbo assieme alla sua comunità Radicà di Calvene (Vicenza).







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