Con il motu proprio "Coniuncta cura" Leone XIV è intervenuto nell'assetto e nella missione dello IOR. L'analisi e i consigli dell'ex presidente
Dopo il motu proprio di Papa Leone XIII, la Lettera apostolica Coniuncta cura, che ha modificato la governance degli investimenti vaticani, il dibattito nel mondo cattolico e finanziario è più acceso che mai. Per molti si tratta di una svolta storica, per altri di una rettifica tecnica.
Ettore Gotti Tedeschi, economista ed ex presidente dello IOR (2009-2012), respinge ogni lettura ideologica e invita a guardare ai fatti: “L’IOR non è una banca, ma uno strumento di missione. E la Chiesa non deve essere povera: deve essere ricca per poter evangelizzare. Chi vuole la Chiesa povera, la odia”.
In questa intervista rilasciata al Sussidiario TV, l’economista spiega le ragioni di una riforma che, a suo giudizio, rischia di essere fraintesa e di minare la credibilità economica della Santa Sede.
Professore, siamo davanti a un cambio di paradigma o solo a una rettifica tecnica, come lei ha detto più volte?
Non è un cambio di paradigma, ma la correzione di un errore precedente. Il motu proprio del 2022 aveva concentrato nell’IOR tutte le risorse e le istituzioni collegate alla Santa Sede. Questa centralizzazione ha generato confusione e timori nel mondo economico e nei donatori. Il nuovo intervento di Leone XIV cerca di riequilibrare quella scelta, restituendo all’APSA (Amministrazione del patrimonio della Sede Apostolica) e ad altri enti un ruolo operativo. È una rettifica necessaria, non una rivoluzione.
Molti media hanno scritto che l’IOR perde il ruolo di tesoriere unico. È davvero così?
Non proprio. Bisogna chiarire un equivoco: l’IOR non è una banca. È un ente che gestisce patrimoni della Chiesa, ma non fa intermediazione finanziaria. Non raccoglie depositi per fare credito. Deve appoggiarsi a banche esterne, italiane e straniere, per operare. E lo ha sempre fatto, anche per motivi di trasparenza. Il punto è come vengono gestiti i fondi, con quali regole, e con quale qualità delle persone che operano.
Cosa intende per “qualità delle persone”?
Intendo che le leggi e le procedure, per quanto perfette, non bastano. Gli scandali nascono sempre da errori umani, non da difetti normativi. La qualità delle persone è decisiva: competenza, certo, ma anche consapevolezza di cosa sia la Chiesa e di chi siano i suoi interlocutori. Chi lavora nello IOR deve sapere che amministra risorse destinate a una missione spirituale, non a un profitto. È una responsabilità morale prima che tecnica.
Lei ha detto che l’IOR non è una banca, ma la Banca d’Italia lo considera tale. Non è una contraddizione?
La Banca d’Italia lo considera una banca perché gestisce patrimoni, ma non svolge funzioni creditizie. È un’istituzione peculiare, con vincoli propri del diritto canonico e con doveri di conformità alle normative internazionali. Quando fui chiamato da Benedetto XVI, nel 2009, il mio compito fu proprio creare un sistema normativo coerente con gli standard antiriciclaggio globali. Nacque così l’AIF, l’Autorità di Informazione Finanziaria, per garantire trasparenza e controllo. Fu una scelta necessaria: senza conformità alle regole globali, nessuna banca avrebbe più lavorato con lo IOR.
Quindi il motu proprio di Leone XIV complica questo equilibrio?
Non direi “complica”, ma rischia di generare messaggi ambigui. Il testo lascia intendere un ridimensionamento dell’IOR, e questo può essere percepito come un segnale di chiusura. Leone XIV è un Papa di grande visione spirituale, ma credo che su questi temi tecnici dovrebbe affidarsi a chi conosce la complessità della macchina finanziaria vaticana. Non si tratta di potere, ma di efficienza e credibilità internazionale.
Lei insiste spesso su un concetto che oggi suona controcorrente: “La Chiesa deve essere ricca”. Cosa significa esattamente?
Significa che la ricchezza della Chiesa è il termometro della sua vitalità. Una Chiesa povera non evangelizza, non forma, non sostiene opere di carità. I suoi membri devono vivere con sobrietà, ma l’istituzione deve essere forte economicamente per adempiere alla propria missione. Questo non lo dico io, lo spiegava già Clemente Alessandrino nel II secolo: non è un peccato avere ricchezze, è un peccato non saperle usare per il bene comune. Chi predica una Chiesa povera, spesso, lo fa per odio o per ideologia.
In altre parole, secondo lei la riforma dovrebbe puntare più alla missione che alla finanza?
Esatto. L’economia vaticana deve essere uno strumento, non un fine. Se perde il suo orientamento spirituale, diventa una caricatura del mondo secolare. Le regole, i bilanci e le procedure servono a rendere credibile la missione, non a imitare la logica del mondo. È per questo che dico che servono “uomini, uomini e ancora uomini”: preparati, onesti e spiritualmente consapevoli.
Lei ha citato di recente il professor Nogara, primo presidente dello IOR nel 1929. Cosa dovremmo imparare da quella esperienza?
Nogara comprese che la finanza della Chiesa deve servire lo sviluppo, non il potere. Investì in energia, telecomunicazioni, infrastrutture: settori che aiutavano la crescita del Paese. E lo fece con visione spirituale, guidato dalla grazia. Era un laico illuminato che sapeva perché e per chi stava investendo. Oggi servirebbe quello stesso spirito: meno burocrazia, più discernimento.
Torniamo all’attualità. Quali saranno, secondo lei, gli indicatori del successo della riforma di Leone XIV?
Tre parole: fiducia, trasparenza, continuità. Fiducia dei fedeli e degli investitori nel fatto che le risorse vengano gestite bene; trasparenza nei processi decisionali; continuità nella visione, senza oscillazioni tra accentramento e dispersione. Le riforme funzionano se consolidano ciò che di buono già esiste, non se creano nuovi centri di potere.
Professore, in chiusura: se dovesse indicare una priorità assoluta per il futuro economico della Santa Sede?
La priorità è tornare a essere esemplari, come disse Benedetto XVI. Non serve imitare i modelli mondani. Serve mostrare che è possibile amministrare risorse spiritualmente, con rigore e fede. La Chiesa deve tornare ricca, non per accumulare, ma per testimoniare. In un mondo che ha perso fiducia in ogni autorità, l’unica ricchezza che ancora convince è quella che si mette a servizio del bene.
(Max Ferrario)
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