Il regime iraniano vuole solo prendere tempo. Non ha veramente intenzione di trattare con gli americani un nuovo accordo sul programma nucleare. Shahrzad Sholeh, presidente dell’Associazione Donne Democratiche Iraniane in Italia (ADDI), ha le idee chiare sulla crisi che coinvolge USA e Israele da una parte e il governo degli ayatollah dall’altra.
E le hanno anche le cento personalità iraniane residenti negli Stati Uniti che sostengono il Consiglio Nazionale della Resistenza Iraniana e che hanno chiesto al presidente Donald Trump di esercitare la massima pressione nei confronti del regime di Teheran, colpendo i suoi interessi finanziari per dargli il colpo di grazia.
Auspicano una caduta del regime: nel Paese, martoriato da centinaia di esecuzioni capitali, mancano energia elettrica e acqua e la gente è al limite della sopportazione.
Il Parlamento europeo, intanto, ha approvato una risoluzione contro le condanne a morte in Iran e la conferma della pena capitale per gli attivisti Behrouz Ehsani e Mehdi Hassani, finora rimandata grazie alla pressione internazionale.
Cento personalità iraniane che vivono negli Stati Uniti e che lavorano come docenti universitari, ingegneri, ricercatori, scienziati, alcuni dei quali hanno conosciuto il carcere in Iran e poi sono scappati, hanno chiesto al presidente Trump di aumentare la pressione sul regime di Teheran e di bloccare il suo programma nucleare. C’è il rischio che gli ayatollah possano già costruire armi nucleari?
È la resistenza iraniana che più di 30 anni fa ha rivelato proprio l’esistenza del programma nucleare e ha continuato a segnalare il problema anche recentemente. Il fatto che questo regime voglia la bomba nucleare è una minaccia per tutto il mondo.
Anche per questo è stata inviata una lettera a Trump per chiedere di esercitare la massima pressione sul regime attraverso le sanzioni.
L’obiettivo principale di questa dichiarazione è sostenere l’alternativa democratica e popolare rappresentata dal Consiglio Nazionale della Resistenza e respingere i tentativi della dittatura di presentare il figlio dello Scià, Reza Pahlavi, come un’alternativa. Serve solo al regime per creare divisioni tra il popolo e i giovani che vogliono rovesciare l’intera dittatura.
Il figlio dello Scià è un pericolo e non un’alternativa vera al regime?
La dittatura dello Scià è stata rovesciata nel 1979 con una rivoluzione. La storia non torna indietro. Il figlio dello Scià, durante questi 40 anni, non ha negato neanche minimamente quello che ha fatto suo padre. Non può essere un’alternativa. È un gioco che fa il regime per mettere a tacere la voce della resistenza iraniana.
Massima pressione significa aumentare le sanzioni. Ma non si rischia di danneggiare soprattutto la popolazione?
Il regime dice che le sanzioni colpiscono la popolazione, ma colpiscono più il regime. Quando parliamo di maggiori pressioni pensiamo alla chiusura delle ambasciate, all’inserimento dei Guardiani della Rivoluzione nella lista delle organizzazioni terroristiche.
Intendete anche sanzioni finanziarie, che blocchino i conti del regime?
Sì. Il regime, dopo la caduta di Bashar al Assad, l’indebolimento di Hezbollah e quello che sta succedendo agli Houthi, è in un momento di grande debolezza. Non solo, all’interno dell’Iran è aumentata la repressione, sono cresciute le esecuzioni capitali, che l’anno scorso hanno riguardato più di 1.400 persone, un bilancio che viene aggiornato tutti i giorni. Noi stiamo portando avanti una campagna per il rispetto dei diritti umani e, grazie a una mobilitazione internazionale, siamo riusciti per il momento a bloccare l’esecuzione di due condannati a morte.
Nel documento che gli iraniani d’America hanno inviato a Trump si ipotizza una rivolta da parte del popolo iraniano. Pensate che sia imminente?
Le notizie che arrivano dall’Iran ci raccontano di gente che non ce la fa più. Ci sono scioperi dappertutto, dei contadini ma non solo: mancano l’elettricità, l’acqua, le persone sono arrivate al massimo della sopportazione. Per questo diciamo che la rivolta ci sarà e chiediamo che finisca la politica di accondiscendenza nei confronti del regime.
Trump ha dato due mesi a Khamenei per iniziare le trattative sul programma nucleare. Cosa pensate di questo negoziato?
Il regime cerca solamente di prendere tempo. Non ha veramente intenzione di trattare. Vuole tirare in lungo per arrivare a realizzare armi nucleari. L’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica ha detto che le scorte di uranio arricchito sono aumentate.
L’alternativa alle trattative è un attacco da parte degli israeliani e degli americani ai siti nucleari iraniani. Una strada percorribile?
Posso solo dire che, secondo noi, il regime deve essere rovesciato dal popolo iraniano, dall’interno del Paese: ci sono nuclei della resistenza che dal 2013 stanno lavorando e stanno realizzando attività contro il regime.
Ma qual è il Paese che immaginate di costruire una volta caduto il regime degli ayatollah?
Maryam Rajavi, presidente eletta del Consiglio Nazionale della Resistenza Iraniana, ha articolato una visione chiara e completa del futuro dell’Iran attraverso un piano in dieci punti che prevede una Repubblica democratica fondata su libere elezioni, la separazione tra religione e Stato, libertà di religione, parola, stampa e riunione, la coesistenza pacifica nella regione. Un Iran che non sarà una potenza nucleare. Sono principi che riflettono le aspirazioni profonde del popolo iraniano.
(Paolo Rossetti)
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