Il regime ha ancora paura di cadere e l’unica risposta che riesce a dare è l’aumento della repressione e delle esecuzioni capitali, oltre che il blocco di Internet e dell’informazione. L’Iran, alla fine della guerra scatenata da israeliani e americani, si ritrova indebolito, ma con una dittatura religiosa ancora più aggressiva nei confronti della popolazione, per nascondere la crisi economica e la corruzione.
Le manifestazioni pro regime inscenate in occasione dei funerali delle persone uccise nei raid israeliani, spiega Azar Karimi, portavoce dell’Associazione dei giovani iraniani in Italia, che fa capo al Consiglio nazionale della resistenza iraniana (CNRI), in realtà sono create ad arte. E anche le velleità del figlio dello Scià di guidare l’opposizione sono fallite.
Resta, invece, la resistenza organizzata, che è attiva nel contrasto della repressione. Alla comunità internazionale spetta di tenere sotto controllo l’Iran e di rispondere con le sanzioni ai tentativi dei mullah di continuare un programma nucleare, la cui realizzazione può essere scongiurata solo da un cambio di regime.
Finita la guerra dei 12 giorni, dall’Iran arrivano notizie di arresti indiscriminati e nuove esecuzioni. Cosa sta succedendo? Il regime ha paura di cadere?
Il regime iraniano ha intensificato gli arresti e le esecuzioni proprio come riflesso della sua crescente paura di un crollo. Nel solo mese compreso tra il 20 maggio e il 20 giugno si contano 140 impiccagioni e 700 arresti con l’accusa di spionaggio. La repressione di massa è la strategia di un potere che ha perso ogni legittimità politica e religiosa, con un apparato di sicurezza sempre più logorato e incapace di frenare la rabbia popolare. Il conflitto dei 12 giorni ha ulteriormente aggravato le tensioni interne, e il regime sa che la popolazione, già stremata dalla crisi economica e dalla corruzione, potrebbe sollevarsi nuovamente. Per questo reagisce con una violenza ancora più cieca, cercando di terrorizzare la società. Ma questi metodi rivelano la debolezza, non la forza del sistema.
Molti hanno segnalato la difficoltà a comunicare con il Paese via Internet: la stretta del regime riguarda anche la comunicazione? Come sta agendo la propaganda?
La censura e il controllo di Internet fanno parte dell’arsenale repressivo del regime. Impedire la libera comunicazione serve a bloccare l’organizzazione delle proteste e a isolare la società iraniana dal mondo esterno. Allo stesso tempo, la propaganda ufficiale cerca di spaventare i cittadini con lo spettro del caos e della guerra civile in caso di cambiamento, ripetendo che non esiste alternativa al potere clericale. Ma questa narrazione è sempre più fragile, perché la popolazione, specialmente i giovani, ha ormai superato la paura e continua a trovare canali per diffondere informazioni, anche con l’aiuto delle unità di resistenza, che contano più di 3mila operazioni anti-repressive all’interno del Paese.
In occasione dei funerali delle persone uccise nei raid di Israele, in Occidente sono arrivate immagini di folla che gridava slogan contro Israele e USA. Gli attacchi all’Iran hanno ricompattato almeno una parte di opinione pubblica intorno al regime di Khamenei?
In realtà, il regime ha approfittato di questi funerali per inscenare manifestazioni di sostegno, ma la partecipazione è stata in gran parte forzata. Molte delle persone presenti appartenevano al settore pubblico o erano dipendenti statali obbligati a partecipare contro la loro volontà. Questo mostra che, al di là delle immagini diffuse, il regime non è riuscito a ricompattare la popolazione: si è trattato di una piccola minoranza, mobilitata con la pressione e la paura, non di un reale sostegno spontaneo da parte della società iraniana.
La guerra di Israele ha indebolito il regime? Netanyahu, a un certo punto delle operazioni, aveva incitato gli iraniani a ribellarsi: la sua azione militare in qualche modo ha favorito l’opposizione oppure ha solo complicato la situazione?
Sicuramente questi attacchi hanno pesantemente indebolito il regime, colpendone infrastrutture militari e logistiche fondamentali. Questo indebolimento ha generato una forte paura all’interno del sistema di potere. Il regime teme in particolare la possibilità che la “terza opzione”, cioè un cambiamento portato avanti dal popolo stesso attraverso la resistenza organizzata, possa concretizzarsi. In fondo, la vera guerra in corso oggi in Iran è quella tra il popolo iraniano e la dittatura del regime dei mullah: si tratta di un conflitto che, prima o poi, porterà a un cambiamento profondo e radicale.
In Occidente qualcuno sembra accreditare il figlio dello Scià come possibile alternativa agli ayatollah. È un ruolo che si è conferito da solo o ha un seguito? Chi rappresenta l’opposizione in questo momento in Iran e cosa sta cercando di fare?
Il recente conflitto non ha fatto che mettere ulteriormente in luce il totale fallimento del figlio dello Scià e dei monarchici, che ingenuamente riponevano le loro speranze di un cambio di regime in un intervento straniero, fantasticando che i disordini avrebbero accelerato la caduta del regime e aperto le porte a un loro ritorno trionfale in Iran. Ora, profondamente disillusi, scoprono che le loro vuote rivendicazioni e le loro “alternative” precostituite sono del tutto irrilevanti di fronte alla realtà che si sta delineando. Non possiedono né una base sociale, né un programma credibile, né una struttura organizzativa o una leadership autentica. In realtà, l’opinione pubblica e la società in generale hanno rivolto lo sguardo alla resistenza organizzata e alla sua leadership come unica via percorribile.
L’Iran sembra intenzionato a riprendere il programma nucleare e non vuole più cooperare con l’Agenzia atomica dell’ONU. Questione di tempo e si ripresenterà il pericolo di un’altra guerra per evitare che costruisca armi nucleari?
Il regime iraniano ha interrotto la collaborazione con l’Agenzia atomica e sta continuando il proprio programma nucleare senza trasparenza. Ovviamente non possiamo prevedere con certezza ciò che accadrà nei prossimi mesi o anni, ma resta chiaro che la comunità internazionale e i Paesi coinvolti devono assumersi la responsabilità di impedire al regime di proseguire con l’arricchimento dell’uranio. In questo senso, chiediamo che venga attivato il meccanismo di snapback previsto dall’accordo sul nucleare, per ripristinare le sanzioni e fermare ogni ulteriore sviluppo. Finché questo regime rimarrà al potere, la minaccia nucleare continuerà a incombere: solo un cambiamento guidato dal popolo iraniano potrà rimuovere in modo stabile e definitivo questa fonte di pericolo.
(Paolo Rossetti)
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