La condotta di Israele è sempre più vicina al genocidio e alla pulizia etnica, e la tolleranza dell’Occidente verso quello che stanno facendo gli israeliani a Gaza deve terminare. È il momento di agire, spiega Enzo Cannizzaro, ordinario di diritto internazionale e dell’Unione Europea all’Università La Sapienza di Roma, la comunità internazionale non può più tirarsi indietro, deve mettere fine all’operato del governo israeliano, che finisce per danneggiare il suo stesso popolo.
L’IDF, intanto, per non farsi mancare nulla ha sparato là dove era presente anche una delegazione di diplomatici: un segno della scarsa considerazione che il suo governo dà alle critiche internazionali, definendo nemici tutti coloro che esprimono dissenso dalla sua condotta.
L’IDF ha sparato a Jenin in occasione di una visita di diplomatici anche italiani: un segnale che Israele sente la pressione internazionale o che non se ne cura?
Io non posso valutare le intenzioni dell’esercito israeliano, ma a me pare che non sia un’iniziativa singola, e che, purtroppo, l’IDF stia agendo nel quadro di una politica che considera tutti coloro che non sostengono Israele come nemici. Se così fosse, non sembra una politica saggia.
Netanyahu ha annunciato l’arrivo di aiuti umanitari nella Striscia, ma diverse organizzazioni, tra cui Médecins Sans Frontières, sottolineano che la quantità è assolutamente inadeguata. Vista la situazione dal punto di vista del diritto, ci sono gli estremi per qualificare l’operato di Israele come genocidio o pulizia etnica?
La mia valutazione degli eventi a Gaza è davvero molto severa. Nella Striscia di Gaza si stanno commettendo crimini orribili, che non hanno giustificazione alcuna, e che non possono essere giustificati dai crimini, anch’essi orribili, commessi da Hamas il 7 ottobre 2023, in quanto il diritto umanitario non è e non può essere fondato sulla reciprocità. Né la gravità dei crimini commessi contro la popolazione di Gaza può essere giustificata con l’esigenza di garantire la sicurezza di Israele, sempre indicata dal governo israeliano. Anzi, ritengo che tali comportamenti indeboliscano la sicurezza di Israele e anche la sicurezza internazionale.
Israele sta affamando scientemente la popolazione di Gaza?
I crimini di cui stiamo parlando vanno senz’altro qualificati come crimini di guerra e contro l’umanità. Fra questi vi è quello di affamamento (starvation) delle popolazioni civili. Israele indica che i viveri non possono essere assicurati alla popolazione di Gaza, in quanto ne usufruirebbero anche i miliziani di Hamas. Ma la proibizione del crimine di affamamento è proprio tesa ad evitare che si affami la popolazione civile come metodo di combattimento. In tale giustificazione si esprime un disprezzo per la vita della popolazione di Gaza che è molto vicino alla qualificazione di genocidio. Inoltre, è ben possibile che la dirigenza israeliana ponga in essere tali metodi al fine di convincere la popolazione ad abbandonare il territorio sul quale vive. E questa condotta si avvicina pericolosamente alla pulizia etnica.
La Camera d’appello della Corte penale internazionale (CPI) ha chiesto di riconsiderare il tema della competenza del tribunale riguardo ai mandati di arresto per Netanyahu e Gallant: la giustizia internazionale mostra i suoi limiti? Le pressioni sui giudici internazionali e la rinuncia alla CPI di Paesi come l’Ungheria stanno avendo effetto?
Spero e credo che le pressioni sui giudici internazionali non abbiano effetto. La questione centrale della decisione della Camera d’appello è una questione puramente tecnica. Ha indicato che la Camera preliminare non ha sufficientemente argomentato sulla giurisdizione della CPI. Ovviamente, anche le decisioni fondate su questioni tecniche possono nascondere pressioni politiche. Ma sarebbe prematuro dare per certo che ciò sia avvenuto.
Anche l’istanza del Sudafrica contro Israele alla Corte internazionale di giustizia che fine ha fatto? A cosa può portare e quali conseguenze pratiche può avere: rischia di rimanere un’iniziativa simbolica?
La Corte internazionale di giustizia si è pronunciata celermente nella procedura cautelare. Lo ha potuto fare perché le misure cautelari si fondano sulla “plausibilità” della richiesta del Sudafrica. Ma in fase di merito occorre provare le condotte di Israele con uno standard alto di prova. Ho altre volte detto che il genocidio è difficile da provare, in quanto occorre dimostrare l’esistenza di un dolo specifico, e cioè quello di distruggere un gruppo nazionale, etnico, razziale e religioso. Inoltre, la Corte ha giurisdizione solo sul crimine di genocidio. Se pure risultasse chiaro che le condotte di Israele sono crimini di guerra e crimini contro l’umanità, la Corte non potrebbe accertarlo, in quanto la controversia è fondata solo sulla Convenzione del genocidio.
Gran Bretagna, Francia e Canada hanno annunciato possibili sanzioni nei confronti di Israele e 22 Paesi, tra cui l’Italia, chiedono la piena ripresa degli aiuti subito. Che strumenti hanno i singoli Paesi per rivalersi su Israele?
Io credo che la tolleranza verso Israele debba terminare. E ciò non può essere qualificato come una condotta antisemita. Il problema non è, e non può essere, il popolo ebraico, ma la dirigenza israeliana. Io credo che il governo di Israele stia facendo molto male alla sua popolazione e anche agli ebrei che non vivono in Israele. A me sembra evidente che la disumanizzazione della popolazione civile da parte dell’esercito e del governo israeliano può avere ricadute drammatiche e mettere in pericolo la sicurezza internazionale.
L’Alta rappresentante della UE per gli Affari esteri, Kaja Kallas, ha annunciato che l’Europa vuole rivedere l’accordo di associazione con Israele. Cosa significherebbe concretamente questa mossa? Che ruolo possono avere le istituzioni europee nel tentativo di fermare le operazioni militari di Israele e di aiutare la popolazione civile della Striscia?
Io credo che l’Unione Europea abbia un dovere morale ma anche giuridico di denunciare l’accordo di associazione. Nel Trattato sull’Unione Europea vi sono due disposizioni, l’art. 3 e l’art. 21, che indicano espressamente che l’Unione debba fondare la sua azione esterna in conformità ai suoi valori, fra i quali vi è lo scrupoloso rispetto del diritto internazionale. Inoltre, l’art. 2 dell’accordo di associazione con Israele indica espressamente che le relazioni fra l’Unione e Israele debbano essere fondate sul rispetto dei diritti umani e della democrazia, che devono guidare anche le condotte internazionali delle parti. Inoltre, esso indica che tale disposizione ha un’importanza essenziale. Ciò significa che l’Unione può e deve sospendere o addirittura estinguere tale accordo.
Sempre Francia, Canada e Gran Bretagna hanno dichiarato che potrebbero riconoscere lo Stato di Palestina, dopo che molti altri Paesi, come Spagna, Irlanda, Norvegia e Slovenia lo hanno già fatto. Cosa implica il riconoscimento? Può essere una strada per far cambiare rotta a Israele?
Il riconoscimento dello Stato palestinese sarebbe un primo passo verso la formula dei due Stati, che tutti auspicano ma spesso solo a parole. Il riconoscimento di tale Stato avrebbe un effetto simbolico e pratico molto rilevante. Esso indica che la popolazione palestinese si è dotata di statualità e che l’occupazione territoriale dei territori palestinesi deve immediatamente cessare, come indicato dalla Corte internazionale di giustizia in un parere del 2024, ignorato da Israele. Al di là di ciò, questo sarebbe una misura tesa a convincere i due popoli ad accettare una convivenza che faccia cessare gli orrori del passato.
(Paolo Rossetti)
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