Israele e USA parlano di trasferimento volontario dei palestinesi da Gaza, ma li stanno costringendo ad andarsene. Senza che il mondo reagisca
Il piano già in atto per la Striscia di Gaza è quello del trasferimento “volontario” dei palestinesi. Ma, nei fatti, significa solo che si rende loro la vita talmente impossibile da spingerli a chiedere di andarsene. Israele ha diviso il territorio usando tre corridoi, per realizzare le buffer zone, delle zone cuscinetto ricavate a colpi di distruzioni, praticamente radendo al suolo ogni edificio civile e industriale. Un vero inferno, racconta Paola Caridi, saggista e presidente di Lettera 22, nel quale, da un mese, non entrano carburante, cibo e persino l’acqua.
Facile, alla fine, che qualche palestinese si convinca a trasferirsi. Ma per andare dove? Da qualunque parte la si guardi, la deportazione dei palestinesi è una follia, e neanche Trump potrà costringere i Paesi vicini ad accoglierli. Tutto questo mentre si fa sentire il taglio dei fondi americani a USAID, e in Israele la maggior parte della gente è assolutamente contro uno Stato di Palestina.
Nell’incontro alla Casa Bianca, Netanyahu e Trump hanno parlato anche del futuro di Gaza. Israele e USA ora parlano di uscita volontaria dei palestinesi dalla Striscia. La deportazione non è più prevista?
Si parla di esodo volontario per evitare l’accusa di trasferimento forzato, uno degli elementi su cui si fonda quella di genocidio. Sono state usate molte definizioni a questo proposito, ma la sostanza è che, fin dai primi avvisi diffusi dagli israeliani, in cui dicevano alla popolazione che aveva mezz’ora per uscire di casa e non farsi bombardare, la gente veniva costretta a scappare e a continui spostamenti. Ci sono famiglie che si sono spostate venti volte.
Il quotidiano israeliano Haaretz sostiene che Trump non è più così convinto del suo progetto di Gaza come “riviera del Medio Oriente”, ma che Netanyahu vuole il trasferimento dei palestinesi. Quali sono le ipotesi più accreditate per il futuro di Gaza?
In atto sembra esserci il piano di Smotrich, per spingere la popolazione ad andarsene in maniera volontaria. È evidente che c’è una parte di palestinesi di Gaza che se ne vuole andare: chi penserebbe di rimanere in un posto che è l’inferno in terra, in cui, da un mese, non entrano non solo carburante e cibo, ma neanche una goccia d’acqua? Israele ha bombardato gli impianti di desalinizzazione, le centrali idriche. Anche questo è un pezzo del genocidio. Smotrich parla di migrazione volontaria: “I palestinesi li portiamo noi fuori, però devono firmare che non rientreranno mai”. Una firma che, per qualsiasi giudice, sarebbe stata apposta sotto coercizione. Questo, comunque, è uno dei piani. E riguarda l’estrema destra.
Quali altre ipotesi sopravvivono ancora, almeno sulla carta?
L’altra idea folle è quella di Trump della riviera, mentre Netanyahu naviga tra un piano e l’altro. Di certo, quello che sta succedendo sul campo ci dice che ciò che vogliono è l’espulsione dei palestinesi. Sono uscite le testimonianze dei soldati israeliani impiegati a Gaza, raccolte dall’associazione Breaking the Silence nel rapporto The Perimeter: raccontano di una sistematica distruzione di palazzi, edifici, di qualsiasi costruzione realizzata per abitare o produrre. Tutto per aumentare le buffer zone. Nel caso della parte meridionale di Gaza, la zona cuscinetto è già in atto: Rafah è distrutta, vuol dire un quinto della Striscia.
Sono previste altre zone di questo tipo?
C’è la buffer zone della parte est, al confine con Israele, cui si aggiungono diversi corridoi che tagliano la Striscia di Gaza da est verso ovest.
Prima a dividere la Striscia c’era il corridoio di Netzarim, ora però ce ne sono altri. Perché Israele li ha creati?
Partendo da nord, ci sono i corridoi di Netzarim, di Morag e Philadelphi: la Striscia, in questo modo, è spaccata in diverse isole, in cui i palestinesi dovrebbero essere concentrati. A quel punto, cosa avrebbero come via di uscita se non il trasferimento forzato?
Ma come verrebbero sistemati i palestinesi, in campi profughi, tendopoli o cos’altro?
Neanche quello: li terrebbero come è stato finora, fino a che qualcuno comincerà a dire: “Non ce la posso fare, accetto di farmi trasferire”. Chiudendo i palestinesi in zone sempre più piccole, alla fine, l’unica soluzione sarà andarsene. Nel frattempo, come è successo nelle ultime ore, vengono colpiti 45 bersagli in una giornata, da nord a sud: un’ecatombe. Al-Shuja’iya, uno dei quartieri più importanti di Gaza, è stato colpito duramente: 30 morti, 60 feriti e 80 dispersi che non ritroverai più. Insomma, almeno 100 morti con un bombardamento. Per questo il segretario generale dell’ONU parla di killing fields, di campi di sterminio. Ormai si bombardano anche le tende. Trovo questa situazione di una gravità enorme.
Perché nessuno a livello internazionale prende una posizione decisa in merito a questi attacchi?
Secondo me, ci sono due livelli da considerare. Uno è quello dei decisori, in fase perenne di attesa, in cui si aspetta di capire quello che si può fare: si pensa alla ricostruzione, ad aprire i corridoi umanitari, come dice Macron, ma senza dare ultimatum, senza opporsi veramente alla rottura del diritto internazionale. L’altro è quello delle persone comuni, che si chiedono che cosa possiamo fare. I politici, e ancora di più i governi, mi sembra che non si rendano conto di quello che pensano le persone che hanno dato loro il consenso.
Parliamo di Gaza, ma la situazione non cambia in Cisgiordania. Come sta continuando l’operazione dell’IDF nella West Bank?
La pulizia etnica arriva fino a Betlemme, anche se molti non se ne accorgono: i soldati israeliani hanno chiuso le scuole dell’UNRWA, cioè di un’agenzia dell’ONU, a Gerusalemme Est.
Prima dell’incontro con Netanyahu-Trump, si è parlato di telefonate intercorse con la Giordania e l’Egitto, Paesi da sempre indicati dagli israeliani come destinazione dei palestinesi. Netanyahu ha anche detto che ci sono altre nazioni disposte ad accogliere i palestinesi. Dove li si vuole mandare adesso?
Che Netanyahu faccia l’elenco di questi Paesi. È possibile che ci siano Paesi che ospitano temporaneamente malati gravi, come l’Indonesia, ad esempio, ma anche la Giordania, che ha promesso di ospitare 2mila bambini. Ma qui stiamo parlando di 2 milioni di persone.
Trump potrebbe essere tentato di mettere spalle al muro Giordania ed Egitto come sta facendo con Zelensky nelle trattative con la Russia, obbligandoli a seguire le sue indicazioni?
In Giordania ci sono state manifestazioni davanti all’ambasciata israeliana, che è vuota da ottobre 2023, con la gente dispersa dalla polizia. Se dovessero arrivare palestinesi in massa dalla Cisgiordania e da Gaza, l’instabilità raggiungerebbe livelli difficilmente governabili. Stessa cosa per l’Egitto. Amman e Il Cairo, inoltre, hanno alle spalle i Paesi del Golfo, che sanno benissimo cosa provocherebbe un trasferimento dei palestinesi. Quindi non è che Trump può mettere con le spalle al muro la Giordania o l’Egitto. C’è, piuttosto, un altro tema che non viene trattato e che, invece, ha grande importanza.
Quale?
La questione USAID. Il fatto che gli USA abbiano chiuso i rubinetti dei finanziamenti non incide solo sulle ONG, che devono chiudere, ma anche sul sistema delle Nazioni Unite. Il Programma Alimentare Mondiale ha detto che si rischiano milioni di morti per fame in ragione di questi tagli.
Tornando al futuro della Striscia, alla fine neanche la deportazione è praticabile?
Anche alcuni esponenti della sicurezza israeliana hanno detto che è impossibile; lo stesso Ehud Barak, ex premier israeliano, ha detto che è una prospettiva allucinante. È impossibile fare previsioni, ma credo sia importante non farsi travolgere dai fuochi d’artificio di Trump, per concentrarsi sulle vere notizie, come, appunto, le conseguenze del caso USAID. Vedo, infine, che c’è un problema enorme dentro Israele, che non riguarda solo il governo Netanyahu: la maggioranza degli israeliani non vuole lo Stato di Palestina, ed è come se non vedesse che stanno spazzando via una parte di territorio. Una storia, invece, di cui conosciamo l’enormità.
(Paolo Rossetti)
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