LA LUNGA TRATTATIVA ISRAELE-HEZBOLLAH REGGE IN LIBANO: COSA SUCCEDE CON IL (PARZIALE) RITIRO DELL’IDF
La tregua in corso tra Israele e Hezbollah dallo scorso 24 novembre 2024 regge ancora e arriva ad una fase clou: dopo diverse violazioni e con scenari umanitari gravissimi, anche per via della parallela e ben più intricata situazione nella Striscia di Gaza, le forze militari israeliane IDF hanno iniziato un parziale ritiro dall’area sud del Libano dove per mesi i raid di Hezbollah miravano al sostegno di Hamas contro il nemico ebraico. Scadenza infatti oggi, 18 febbraio 2025, il termine ultimo per il cessate il fuoco con la sigla filo-iran che dominava nell’area sud del Libano: pur con molte perplessità e lasciando comunque 5 postazioni fisse, l’IDF acconsente al ritiro dai villaggi libanesi vedendo contemporaneamente l’ingresso dell’esercito regolare di Beirut, frutto anche questo dell’accordo siglato Netanayahu poche settimane dopo la vittoria di Trump negli Statesi.
Il controllo delle forze internazionali dell’ONU (la missione Unifil, con gli Stati Uniti al comando) dovrà monitorare l’effettiva tenuta di questa tregua, specie impedendo il riarmo di Hezbollah al confine sud come minaccia anti-Israele. I cinque avamposti lasciati con soldati israeliani (situati a Metula, Labbouneh, Margaliot, Malkia e Avivim) è un accordo in più strappato da Tel Aviv con la benedizione americana, in quanto l’esercito del Libano non viene ritenuto per ora in grado di monitorare l’intera area. Appena ieri il Governo Salam – nato lo scorso 8 febbraio – ha promesso che l’intero territorio libanese sarà liberato dalla presenza di Hezbollah, instaurando il “monopolio statale” delle armi come garanzia. Di contro, Israele consente al ritiro ma minaccia Hezbollah qualora non dovesse ritirarsi oltre il fiume Litani: l’IDF muoverà guerra qualora dovesse esserci anche una sola minima violazione dell’accordo. Di contro il Libano lamenta presso il Consiglio di Sicurezza ONU che la presenza degli avamposti israeliani è un controsenso e una violazione stessa dei termini delll’accordo.
DAL LIBANO A GAZA, LE TRATTATIVE PER LE FASE 2 DELLA TREGUA CON HAMAS RIMANGONO MA LA PACE È ANCORA LONTANA
Ben più intricata e complessa ovviamente è la situazione presente a Gaza, dove la tregua messa a dura prova la scorsa settimana da Hamas è tornata ad essere più o meno stabile, anche se proseguono i proclami di Israele e della sigla palestinese affinché il nemico possa realmente tenere fede al cessate il fuoco raggiunto a fine gennaio 2025. Dopo che Netanyahu aveva ribadito che occorre l’interezza (e integrità) degli ostaggi da liberare , altrimenti si tornerebbe a battagliare nella Striscia, Hamas ha sottolineato che sabato saranno 6 e non 3 gli ostaggi rapiti liberati, «ci sono trattative in corso e dipende da come pagherà Israele», spiega un funzionario palestinese ai media di Ynet.
La fase due della tregua, ovvero l’ingresso di ulteriori aiuti umanitari e l’uscita di scena dell’esercito israeliano da Gaza, dovrebbe scattare nelle prossime ore secondo Hamas, in risposta alla richiesta di elevare e velocizzare la liberazione degli ostaggi (anche vista la propaganda “spettacolarizzante” che ogni settimana Hamas organizza sui corpi già massacrati da mesi di prigionia). La pace resta ancora lontana a Gaza ma il proseguire della tregua e le ultime missioni diplomatiche del Segretario di Stato Usa Marco Rubio hanno fatto intuire ai vari attori protagonisti in Medio Oriente che difficilmente sarà realizzabile il piano di Trump di una Gaza come “Riviera”, con sopratutto i palestinesi via dalla Striscia. Si gioca sul sottile piano di “bastone e carota” dove ad ogni minaccia corrisponde un piano negoziale più fattibile: tutto sta a vedere se tale “gioco” resisterà o se i delicatissimi equilibri presenti tra Israele e Hamas – e, sullo sfondo, la sempiterna lotta Usa-Iran – tenderanno alla rottura.