Trump nella notte ha annunciato con grande enfasi la tregua tra Israele e Iran, confermata in un primo momento dal regime di Teheran. Poco dopo però il ministro degli Esteri iraniano Araghchi, in concomitanza con forti esplosioni segnalate nella capitale iraniana, ha smentito l’accordo. E nel nord e nel sud di Israele sono arrivati missili dall’Iran. È in corso dunque una forte accelerazione che al momento è difficile da decifrare.
Sono ore di attesa e di trattative quelle che stanno seguendo l’operazione “Martello di Mezzanotte”. Ieri l’Iran ha promesso una reazione che si è puntualmente verificata con un attacco missilistico su Doha (Qatar) e il Parlamento di Teheran ha anche votato a favore della chiusura dello Stretto di Hormuz, uno snodo cruciale per le forniture energetiche globali.
Sta intanto per prendere il via il vertice Nato in cui si discuterà dell’aumento della spesa destinata alla difesa dei Paesi membri fino al 5% del Pil nei prossimi dieci anni.
“Penso che l’Iran non abbia grandi capacità di reazione” afferma Giulio Sapelli, professore emerito di storia economica all’Università degli studi di Milano. “In tutto questo c’è una grandissima incognita, che deriva anche dal disgraziato comportamento dell’esercito americano e della sua intelligence tanto in Afghanistan quanto in Iraq“.
Quale sarebbe questa incognita?
Non mi pare che si vada delineando una strategia in caso di crollo del regime iraniano. Siamo di fronte a ciò che rimane di un grande impero, la Persia, e del tentativo dello Scià di modernizzare il Paese attraverso una riforma agraria imposta dall’alto che ha incontrato la grande ira dei latifondisti e, soprattutto, la resistenza enorme di Khamenei e dei mullah. Oggi l’unica alternativa che sulla carta sembra in grado di garantire un rapporto tra religione e ordine sociale è rappresentata dai mujaheddin del popolo, oppositori del regime teocratico di Teheran, ma non si hanno notizie di contatti tra loro e l’esercito americano e israeliano.

Trump ha però fatto capire che non si dovrebbe escludere un cambio di regime a Teheran…
Se si volesse provare un regime change bisognerebbe fare in modo che vi sia una forza in grado di opporsi ai Pasdaran, che non mi paiono intenzionati a lasciare il potere. In questo momento non sappiamo cosa pensino le minoranze nel Paese e non c’è stata nemmeno una netta presa di posizione da parte di quanti vennero esiliati a seguito della Rivoluzione islamica. Difficile, quindi, ipotizzare che, nel caso di crollo del regime, si possa mantenere l’ordine nel Paese senza una schiacciante presenza americana.
Il Parlamento iraniano si è espresso a favore della chiusura dello Stretto di Hormuz, snodo fondamentale per il passaggio di petroliere e navi gasiere dai Paesi produttori del Golfo. C’è il rischio che questo blocco venga effettivamente attuato?
È un rischio fondato, anche perché basta veramente poco per riuscire a bloccare il transito della navi. Occorre dunque monitorare l’area ed essere pronti a intervenire per evitare il peggio. Certo è che nel caso Teheran dovrà fare anche i conti con la Cina, suo Paese alleato, visto che una buona parte del gas e petrolio di cui Pechino ha bisogno transita da lì. Occorre, dunque, fare in modo che l’Iran non compia passi falsi e non arrivi poi a schierarsi pienamente a fianco dei russi contro l’Ucraina.
Perché l’Iran dovrebbe farlo?
Come insegna Kissinger, se si perde su un fronte si è portati a creare una situazione di squilibrio su un altro. A quel punto anche la Cina potrebbe schierarsi apertamente con Mosca. Mi auguro, quindi, che la situazione si risolva rapidamente in modo ordinato, altrimenti rischia di aggravarsi sempre più.
L’eventuale blocco a Hormuz sarebbe molto dannoso per l’Ue, visto che il Qatar è uno dei suoi principali fornitori di Gnl.
Forse sarebbe l’occasione buona per far sì che l’Europa si svegli ed elimini rapidamente le sanzioni contro Mosca cercando di ritornare a rifornirsi di gas russo. D’altronde, l’Europa deve capire bene cosa sta accadendo.
In che senso?
La Nato sta allargando il suo raggio d’azione all’Indo-pacifico, quindi la questione ucraina cadrà sempre più sulle spalle dell’Ue, perché gli Stati Uniti sposteranno la loro attenzione più a est.
Ed è anche per questo che si chiede ai Paesi Nato, soprattutto europei, di aumentare la spesa nella difesa al 5% del Pil.
L’Europa pare orientata a immergersi in un capitalismo militare, ma bisognerebbe chiedersi come sarebbe possibile produrre aerei e mezzi militari senza energia a buon prezzo a disposizione.
Di fatto c’è il rischio che l’aumento della spesa nella difesa si incroci con una nuova crisi energetica…
Esattamente. Ma non è tutto, perché il segretario generale della Nato ha detto sostanzialmente che gli Stati Uniti hanno deciso di non aiutare più direttamente l’Europa, che deve, quindi, provvedere da sé alla propria difesa. Dal mio punto di vista è meglio che ciascuna nazione si appresti a difendersi in coordinamento con le altre nazioni europee piuttosto che affidarsi all’incapacità della burocrazia celeste che parla di difesa europea. È inutile illudersi di creare una difesa europea con un esercito comune; si può però pensare a una difesa dell’Europa con un coordinamento degli eserciti dei Paesi europei.
Visti i limiti imposti dal Patto di stabilità, come faranno i Paesi Ue ad aumentare le spese nella difesa? Dovranno tagliare altre spese?
Bisogna essere chiari. Se non vogliamo ridurre in miseria i lavoratori, compresi quelli che dovrebbero costruire nuove armi, bisogna affrontare il problema del debito pubblico con realismo, bisogna ritornare a un rapporto tra Banche centrali nazionali e i ministeri del Tesoro, come quello esistente in Italia fino al 1981, in modo che non si debba pensare di finanziare le spese nella difesa tagliando il welfare. Del resto, è quello che hanno fatto gli Usa durante la Seconda guerra mondiale. Occorre essere chiari anche su un altro punto.
Quale?
Non bisogna pensare di distruggere l’industria civile convertendola in militare, come di fatto Bruxelles, anche con le sue regole green, sta spingendo a fare. Sono dell’idea che se vogliamo prepararci ad affrontare dei tempi terribili, l’Ue rappresenti solo un ostacolo di burocrazia e incompetenza, come la presidente della Commissione von der Leyen sta dimostrando in questi ultimi mesi. Bisogna al più presto sciogliere l’Unione, liberarsi dei tecnocrati europei, per ridare agli Stati nazionali il loro peso per affrontare le terribili prove della guerra.
(Lorenzo Torrisi)
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