Israele: nuovi raid a Gaza, almeno 65 morti. Russia, Cina e Regno Unito respingono il piano di aiuti USA-Israele mentre cresce la crisi umanitaria
Il primo ministro israeliano Benyamin Netanyahu ha annunciato che l’esercito di Israele è pronto a entrare a Gaza “con tutta la sua forza” nei prossimi giorni, ribadendo l’intenzione di proseguire l’operazione militare fino alla completa sconfitta di Hamas e durante un incontro con i riservisti, il premier ha escluso ogni possibilità di fermare il conflitto, ribadendo che un cessate il fuoco – se ci sarà – potrà essere solo temporaneo, una pausa tattica e non certo una svolta negoziale.
Secondo quanto riferito dal suo ufficio, Netanyahu ha precisato che non esiste alcuno scenario in cui Israele interrompa la guerra: la campagna militare, ha fatto intendere, andrà avanti fino al raggiungimento degli obiettivi prefissati – ovvero la distruzione delle capacità operative di Hamas e il ripristino della sicurezza per i cittadini israeliani – e l’annuncio giunge in un momento di crescente pressione internazionale, con vari Paesi e organizzazioni umanitarie che chiedono una tregua duratura per alleviare la crisi umanitaria nella Striscia ma il governo israeliano sembra deciso a mantenere la linea dura, ritenendo ogni pausa solo funzionale al prosieguo delle operazioni.
Nel frattempo, l’UNRWA lancia l’allarme: il 75% delle famiglie ha accesso limitato all’acqua, mentre i generatori degli ospedali – come il Nasser – rischiano il collasso per carenza di carburante e – in alcuni casi – sono già fermi; secondo testimoni, gli attacchi colpiscono non solo obiettivi militari ma anche tende e rifugi temporanei dei civili sfollati, lasciando le squadre di soccorso senza risorse e mezzi per intervenire in sicurezza. La tensione sul campo continua a crescere mentre la popolazione palestinese resta intrappolata in un assedio che – ormai – assume i tratti di una catastrofe umanitaria senza vie d’uscita.
Israele isolato sul fronte diplomatico: bocciato il piano USA, esplodono le tensioni regionali
Il piano congiunto di Stati Uniti e Israele per la distribuzione di aiuti a Gaza è stato respinto da Russia, Cina e – sorprendentemente – Regno Unito; Mosca lo ha definito “sbilanciato e inefficace”, Pechino ha denunciato un “inasprimento delle sofferenze” causato dal blocco israeliano in vigore da oltre due mesi mentre Londra – seppur storicamente allineata a Washington – ha espresso preoccupazione per la mancanza di garanzie umanitarie nei confronti dei civili.
Il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman, al vertice del Golfo, ha ribadito l’urgenza di “una soluzione duratura” mentre Israele ha risposto con raid contro i porti yemeniti di Ras Isa e Hodeidah dopo aver intercettato un missile proveniente dallo Yemen; in Cisgiordania, intanto, la situazione non è meno critica con incursioni a Ramallah, Jenin e Abwein che hanno provocato nuovi scontri (un adolescente è stato ferito, decine le abitazioni perquisite o demolite) e le forze israeliane continuano le operazioni anche a Meithalun e Shuqba dove gli arresti arbitrari si susseguono senza sosta.
Le proteste – represse con violenza – contribuiscono ad accrescere il rischio di un’escalation nei territori occupati, già segnati da più di cento giorni consecutivi di operazioni militari a Jenin; in questo scenario, la diplomazia internazionale appare frammentata e incapace di imporre un vero cessate il fuoco.
Israele nei colloqui di Doha: negoziati fragili tra ostaggi, attacchi e retorica di guerra
Una delegazione israeliana si è recata a Doha per riprendere i negoziati sul cessate il fuoco, ma il premier Netanyahu è stato chiaro: “nessuna tregua finché Hamas non sarà distrutto” e questo approccio rigido contrasta con l’ottimismo USA, scaturito dal rilascio dell’ostaggio italo-americano Edan Alexander, definito da Trump “un gesto di buona fede” ma la realtà appare ben diversa in quanto, nelle stesse ore, Israele ha bombardato l’Ospedale Europeo di Khan Younis, tentando – secondo fonti locali – di eliminare Mohammed Sinwar, nuovo leader di Hamas.
L’attacco ha ucciso 28 persone; la struttura (costruita con fondi dell’UE) è ormai semi-inoperativa e anche qui si segnala la morte o il ferimento di giornalisti; secondo MAP (Medical Aid for Palestinians), interi reparti sono fuori uso (l’unità di terapia intensiva è compromessa, i sistemi di ossigeno e corrente danneggiati) e il Comitato per la Protezione dei Giornalisti denuncia 138 reporter uccisi dal 2023, la maggior parte palestinesi.
Steve Witkoff – inviato speciale USA – ha incontrato le famiglie degli ostaggi e parlato di “progressi concreti” ma anche lui non ha nascosto le difficoltà; con Trump in tour nel Golfo e i negoziatori israeliani sotto pressione, resta da capire se il dialogo possa resistere all’onda lunga dei raid e delle vendette incrociate mentre i civili continuano a pagare il prezzo più alto.
