In una giornata che poteva essere ricordata come positiva per il primo contatto diretto tra Putin e Trump – ovvero tra i leader mondali che si sentivano direttamente dopo tre anni di guerra – finisce quasi tra le notizie “minori” che la nuova offensiva militare “preventiva” lanciata da Israele su Gaza avrebbe causato oltre 400 vittime di cui (secondo l’Unicef) almeno 130 bambini.
Ci si abitua a tutto in un mondo che sta vorticosamente correndo verso il disastro, anche se finisce così, ovvero nel disastro, il tentativo di costruire a Gaza un minimo di tregua.
Tregua dissolta tra il rifiuto a continuare il rilascio degli ostaggi e l’accusa israeliana ad Hamas di stare organizzando un nuovo attacco stile 7 Ottobre (ma fornendo poche prove) e con in mezzo una fiumana di povera gente che vorrebbe solo un po’ di pace perché non sa più letteralmente dove scappare.
Gaza è diventata un vicolo cieco, un buco nero, un pezzo dimenticato della coscienza del mondo in cui si cerca di sopravvivere in una situazione che ha sempre meno di umano.
Così, mentre il mondo spera in una tregua almeno in Ucraina, si apre l’ennesimo atto di una crisi mediorientale che appare senza soluzioni nel moltiplicarsi dell’odio, delle rappresaglie, dei timori di escalation.
Perché alla fine non si riesce più a capire dove a che cosa giochino i singoli attori mentre tutto finisce nel vortice degli attacchi reciproci, nelle accuse indimostrabili, della violenza più cieca.
Tutto il mondo arabo, anche quello più moderato, critica aspramente la nuova iniziativa di Netanyahu, mentre il governo di Gerusalemme si auto-giustifica sostenendo che gli attacchi siano “pienamente coordinati con gli USA”, implicitamente coinvolgendo l’amministrazione Trump come sponsor della nuova offensiva militare.
Vero o falso che sia – conoscere non significa condividere – certo è che tutta questa catena di eventi, culminata con la ripresa della guerra a Gaza, mette in crisi profonda ogni tentativo di tregua, per non parlare di una pace che appare sempre più impossibile e lontana.
Così intanto vince l’odio, e qualsiasi appello a fermarsi sembra impossibile ed assurdo. Proprio mentre Papa Francesco, scrivendo al Corriere della Sera dalla sua camera di ospedale, sostiene che la guerra è una sconfitta per tutti e ci vorrebbe davvero il coraggio di fermarsi.
Invece si muore a Gaza, in Siria, in Libano, nello Yemen, così come in Ucraina, senza che la gran parte della pubblica opinione quasi ne sia consapevole. Ci siamo assuefatti all’odio, alla guerra, ai numeri spaventosi di una catastrofe umanitaria che da Gaza si propaga senza sconvolgere o preoccupare più di tanto le opinioni pubbliche mondiali, che sembrano più interessate a commentare la proposta di una partita di hockey su ghiaccio USA & co. contro ex URSS, quasi un ritorno indietro alla realtà di quarant’anni fa.
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