Alle 19:50 di ieri Israele ha intensificato le sue operazioni a Gaza, aumentando i raid aerei ed espandendo le incursioni mirate di terra con i tank. Si tratta di una “ampia incursione”, “non è ancora l’offensiva di terra” ha comunicato il portavoce dell’IDF Daniel Hagari. Nelle operazioni è stata impiegata anche la marina israeliana, che ha raggiunto e colpito via mare le installazioni militari di Hamas.
Se vuole stanare Hamas e distruggerla, spiega Toni Capuozzo, giornalista e inviato di guerra, Israele “deve mettere gli stivali sulla terra”, con tutti i rischi che questo comporta. “L’invasione – continua Capuozzo – in realtà potevamo già considerarla cominciata con le prime incursioni dei tank: non c’era bisogno di aspettarsi uno sbarco in Normandia, con i rulli di tamburo e le colonne di carri armati che entrano”.
Usa e Onu hanno invocato una tregua umanitaria e la risoluzione delle Nazioni Unite per la tregua è stata approvata; Israele risponde in modo durissimo, parlando di “giorno dell’infamia” per l’Onu.
L’Europa, dal canto suo, ha chiesto pause nei combattimenti e un’ANP rafforzata che rappresenti i palestinesi al posto di Hamas. Ma far rinascere l’Autorità nazionale palestinese, oggi indebolita da una leadership non più credibile, non sarà facile. L’unico a poterla guidare potrebbe essere Marwan Barghouthi, l’uomo dell’Intifada, che però al momento è in carcere.
La Ue ha aspettato il Consiglio europeo mettendo sul tavolo due proposte: quella di una pausa ai combattimenti per creare dei corridori umanitari e una seconda relativa alla necessità di sostenere l’ANP. Ma l’Europa ha la forza per fare qualcosa?
Purtroppo credo che la posizione dell’Europa sia totalmente irrilevante. La richiesta dei 27 mi è sembrata più un gesto di autocoscienza per misurarsi (e litigare) di fronte all’utilizzo delle parole: non un cessate il fuoco, che danneggerebbe Israele perché vorrebbe dire bloccare la risposta via terra, ma pause umanitarie. È stata una specie di presa di posizione fatta allo specchio.
Cosa significa?
L’Europa si è misurata con sfumature diverse al suo interno, a cominciare dalle posizioni delle forze di ispirazione socialista, come la Spagna di Sanchez, e di quelle centriste, arrivando a una mediazione che è, appunto, una mediazione di fronte a se stessa.
Come può essere sostenuta, invece, l’Autorità nazionale palestinese per farla diventare un interlocutore credibile per Israele?
L’idea di resuscitare l’ANP è ripetuta da tutti, ma si tratta di una specie di accanimento terapeutico: la verità è che l’ANP è screditata. Viene vista come una forza debole, corrotta e prona ai desideri di Israele. In questo momento Hamas e la Jihad islamica vanno costruendosi un mito persino in Cisgiordania. Non vuol dire che arriveranno a governarla, ma che Hamas ha lanciato un’opa sulla West Bank. È difficile che sia Abu Mazen, a 86 anni, a rappresentare l’interlocutore del futuro.
Chi potrebbe farlo?
Forse Israele doveva pensare a Marwan Barghouthi, che è in carcere, è più giovane, rappresenta l’uomo dell’Intifada e non è uno che predica la cancellazione di Israele. Potrebbe avere un seguito tra i palestinesi. Difficile, insomma, che l’ANP resusciti.
Dovrebbe almeno cambiare le facce, le persone che la rappresentano?
Sì. Per un po’ si è pensato che Mohamed Alan, amico – anche se percorrendo strade diverse – di alcuni dirigenti di Hamas, potesse essere l’uomo nuovo. In realtà in questo momento si fatica a capire chi possa essere. Israele, se vuole ricostruire l’ANP, deve farlo senza darlo a vedere. Anche pensando al dopoguerra è difficile pensare che l’Autorità possa insediarsi a Gaza accompagnata per mano dalle forze israeliane.
Qual è stato l’errore dell’ANP in questi anni, quello di appiattirsi sulle richieste degli israeliani?
L’ANP è rimasta stretta fra due fuochi: da un lato Israele che, specialmente con il Governo Netanyahu ha favorito l’insediamento dei coloni, e dall’altro il radicalismo di Hamas. Il problema è questo. Quando nel ’43 gli alleati arrivarono in Italia, che era stata fascista e alleata con i nazisti, trovarono degli interlocutori – la Resistenza partigiana, il CLN – con i quali costruire il dopoguerra. A Gaza non c’è niente di tutto questo, perché Hamas ha fatto piazza pulita di ogni alternativa. C’è della gente che mormora, che borbotta contro la situazione in cui li ha cacciati Hamas, ma non una forza politica che possa proporsi al suo posto.
Vuol dire che per ricostruire l’ANP ci vorrà tempo.
Sicuramente. E poi questa Nakba 2, questo esodo da Gaza, di certo non aiuta la nascita di forze moderate. Aumenta solo la rabbia.
Qualcuno mette in dubbio la capacità di Israele di difendersi dagli attacchi missilistici. Il sistema Iron Dome non sarebbe in grado di far fronte a un attacco massiccio, magari da più direzioni. E poi costa. A lungo andare sostenere economicamente la guerra potrebbe essere un problema anche per Gerusalemme?
È noto che queste difese antiaeree possono essere superate con una saturazione di missili, quando il numero dei razzi e dei missili è tale da fare andare in tilt il sistema o ridurne l’efficacia. Il problema per Israele, però, è eliminare le basi di partenza dei missili, per quello si prospetta l’operazione di terra. Non si vincono le guerre rafforzando gli scudi, ma distruggendo le armi del nemico.
Dunque Israele dovrà mettere “the boots on the ground”, gli stivali a Gaza.
L’operazione è senza alternative, se gli israeliani non vogliono tornare al punto di partenza. In tal caso l’invasione vera e propria sarà sanguinosissima, casa per casa, con una popolazione ostile e un nemico che conosce bene il territorio e utilizza i tunnel.
Semplici incursioni in passato ci sono state.
Appunto. Israele sa che le incursioni che sono state fatte in passato sono state illusorie. Hanno semplicemente obbligato Hamas a riempire gli arsenali per arrivare a fare qualcosa che nessuno si aspettava: un’azione di terra in Israele.
Gli Usa come affrontano questa situazione?
Sono i più preoccupati di tutti, perché non sarebbero in grado, dopo l’Ucraina, di sostenere un altro conflitto. Va già bene che in questo momento la Cina non ne approfitti per prendere Taiwan.
Se diamo uno sguardo d’insieme, che schieramenti vedi in campo e quali sviluppi per la situazione, anche alla luce della visita di Iran e Hamas a Mosca?
Le grandi potenze vogliono dire la loro. Credo che ci sia un tentativo di ricavarsi un ruolo. Questa è un’occasione ghiotta per la Cina e la Russia, perché si azzera tutto quello che stavano facendo gli Stati Uniti in merito al riavvicinamento dei Paesi arabi a Israele e porta acqua al mulino dei Brics, che puntano a un mondo multipolare e non più unipolare guidato dagli Usa. Non credo a un impegno militare dei russi, sono già presenti in Siria, dove proprio in questi giorni ci sono state incursioni di caccia americani contro basi iraniane e di Hezbollah. Senza toccare le postazioni occupate dai russi. C’è prudenza per evitare un allargamento del conflitto. La crescita delle divisioni, invece, fa gola a molti.
Ma a questo punto qual è l’obiettivo di Hamas?
Penso che Hamas avesse messo in conto una risposta di questo tipo di Israele: finora, nella loro ottica, l’operazione sta andando bene perché sono morti i civili, è cresciuta la rabbia e si sono fatti una fama in Cisgiordania. Credo che l’unica difficoltà per loro sia quella del gasolio, che serve a far arrivare l’ossigeno nei tunnel della città e ad alimentare i generatori che servono per lanciare i razzi. La questione gasolio è entrata addirittura nella negoziazione per gli ostaggi. Ma questo è forse l’unico vero elemento di debolezza di Hamas in questo momento. Ha perso qualche dirigente, ma i dirigenti operativi erano già sottoterra, nascosti.
Ma cosa possono aspettarsi?
Ad Hamas il “tanto peggio tanto meglio” va bene. Ha fatto saltare il progetto di Netanyahu di rendere Gaza irrilevante e di colonizzare un po’ alla volta la Cisgiordania. Anche qui Israele si troverà davanti a un bivio: scegliere il dialogo o trovarsi nella prospettiva di una seconda Gaza.
Israele, invece, come si muoverà?
Secondo me terrà tutte le carte sul tavolo: non credo che ci sia una strategia ferma e immobile. Il fatto che si ripeta che questa non è la vera operazione di terra è volto a rassicurare l’opinione pubblica e a tenere sotto scacco Hamas, ma non garantisce che ci sarà. Credo però che non si riesca ad eliminare Hamas senza mettere gli stivali sul terreno.
È una guerra che andrà avanti ancora per molto?
Temo di sì.
(Paolo Rossetti)
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