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Home » Esteri » Medio Oriente » ISRAELE vs IRAN/ “L’attacco non esclude la trattativa, un’intesa conviene a Trump e Teheran”

  • Medio Oriente
  • Usa
  • Esteri

ISRAELE vs IRAN/ “L’attacco non esclude la trattativa, un’intesa conviene a Trump e Teheran”

Israele ha attaccato l’Iran con l'Ok Usa. Fa comodo pure a occidentali e arabi. Per evitare che Teheran abbia un’arma nucleare però ci vuole altro

Int. Rony Hamaui
Pubblicato 14 Giugno 2025
Il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump (Ansa)

Il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump (Ansa)

A forza di annunciarlo, l’attacco contro l’Iran alla fine è arrivato. Una prima ondata nella notte di venerdì e poi proseguita nelle ore successive. Un’operazione che non finirà tanto presto, secondo le previsioni di Tel Aviv, e che ha già colpito l’aeroporto di Tabriz, la centrale nucleare di Natanz, gli impianti missilistici, sguarnendo ancora di più le difese aeree iraniane e aprendo il varco per altre incursioni.


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Un intervento chirurgico, come dimostrano la morte del consigliere politico di Khamenei, Ali Shamkhani, di sei scienziati nucleari, del capo di stato maggiore Mohammad Bagheri, del comandante del Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica, Hossein Salami.

Gli USA non sono ufficialmente coinvolti, ma Netanyahu non può aver agito per sua sola iniziativa, spiega Rony Hamaui, docente di scienze bancarie all’Università Cattolica di Milano ed esperto di economia e finanza islamica. Lo scopo è assicurarsi che gli ayatollah non possano ordinare di costruire un’arma nucleare. Un obiettivo che, al di là delle dichiarazioni ufficiali, fa comodo a molti, perché nessuno vuole un Iran che sia potenza atomica.


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Perché Netanyahu ha agito in questo momento: l’Iran era davvero vicino all’arma nucleare o prossimo a un accordo con gli USA che Israele non vuole? Oppure ancora è stato un modo per convincere gli ayatollah a non fare troppo i preziosi nel negoziato?

Propenderei per la prima interpretazione. Da un punto di vista militare, Israele aveva già tastato il terreno e fatto fuori tutti i sistemi più sofisticati di difesa iraniana e non si poteva aspettare che li ricostruissero. Inoltre, esistevano prove oggettive, confermate anche dall’Aiea, che l’Iran era arrivato a un passo dalla costruzione o dalla possibilità di costruire l’arma nucleare. I negoziati con gli USA non stavano portando molto lontano, quindi non li vedo come un elemento scatenante.


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Israele non ha considerato anche le conseguenze politiche a livello internazionale?

Per Netanyahu, sconfiggere l’Iran significa guadagnare consensi a livello internazionale. E anche internamente, dopo la sconfitta di Hezbollah e la caduta di Assad, alla quale ha contribuito l’indebolimento del regime iraniano, sarebbe una vittoria. Anche perché deve fare i conti con i problemi che ha per Gaza e Cisgiordania: un’affermazione con gli iraniani serve da contrappunto a tutto questo.

L’obiettivo israeliano è di bloccare gli impianti nucleari iraniani o anche di far cadere il regime?

Entrambi sono obiettivi. Uno raggiungibile e forse in parte raggiunto. Il secondo è più complicato: tutti i regimi cadono per una spinta interna, può contribuire qualche azione esterna, ma senza una mobilitazione interna particolare, specialmente in un Paese grande e popolato come l’Iran, in cui nessun soldato straniero vuole mettere piede. Anche se poi i piedi gli israeliani li hanno messi: alcuni dei risultati che hanno ottenuto non avrebbero potuto raggiungerli senza un appoggio in Iran.

Il Mossad avrebbe allestito addirittura una centrale segreta. Potrebbe aver avuto contatti con la resistenza iraniana?

Non so se hanno legami con la resistenza, certamente il Mossad si è mosso all’interno dell’Iran. Non per niente l’intervento israeliano è stato molto chirurgico, come quello portato a termine in Libano. A Gaza di chirurgico non c’è stato niente, da tutte le altre parti sì: gli israeliani i migliori successi militari riescono a ottenerli quando agiscono così. Si tratta di un’operazione preparata a lungo, che probabilmente è servita ad aprire la strada ad altre operazioni. Hanno colpito le difese missilistiche, antiaeree, e questo permette loro di mettere in cantiere un secondo, un terzo round più letale con obiettivo le strutture nucleari.

Netanyahu ha già chiarito che gli attacchi proseguiranno. Che tipo di azione ha in mente Israele e come può reagire l’Iran? Come prima risposta ha inviato 100 droni, ma sarebbero stati tutti intercettati.

L’Iran ha un’industria bellica estremamente avanzata. Lo ha dimostrato in Ucraina, dove sta dando una mano importantissima alla Russia. Il mix di tecnologia russa e iraniana sta producendo nuove generazioni di droni: siamo forse alla quarta generazione da quando è iniziato il conflitto ucraino. Però Israele è lontana e i droni rischiano di essere meno efficaci. Sul fronte missilistico, invece, credo che Israele tra questa azione e le precedenti abbia distrutto una parte importante della capacità iraniana. Vedremo nei prossimi giorni come reagirà Teheran.

L’Iran, però, sapeva del possibile attacco israeliano; se si è lasciato sorprendere forse è perché non ha i mezzi per rispondere. È così?

Tutto vero, però non bisogna sottovalutare le loro capacità: hanno la tecnologia e anche i cervelli per poter reagire.

Che ruolo hanno in tutto ciò gli americani? Il segretario di Stato Marco Rubio ha preso le distanze dicendo che gli USA non sono coinvolti, ma Trump ha mostrato un certo compiacimento per gli attacchi. Impossibile che non lo sapessero o che siano stati esclusi dalle decisioni?

È il gioco delle parti: c’è chi fa il poliziotto buono e chi quello cattivo. L’azione è concordata, non è credibile che non lo sia, anche dal punto di vista tecnico: l’Iran è lontano, non è come bombardare la Siria o il Libano, che sono confinanti.

Trump, quindi, non sarà più il pacificatore che diceva di voler essere?

Aspetterei a dirlo: ha l’abilità di giocare su più tavoli e quindi continuerà a rivendicare la sua azione pacificatrice. Può sempre dire che sono gli iraniani ad essersi ritirati dal negoziato, anche se alla fine credo sia interesse di tutti arrivare a un accordo. Per quanto questi attacchi possano essere utili a ritardare i programmi di Teheran, se il regime non crolla e le cose vanno avanti così, tra sei mesi oppure fra un anno o due si torna al punto di partenza: l’Iran ha le risorse umane e tecniche per produrre la bomba atomica. Se non succede qualcosa dal punto di vista politico, che sia la caduta del regime o un negoziato, il problema prima o poi si ripresenta.

Il negoziato adesso andrà avanti lo stesso?

Credo che lo terranno bloccato per un po’, ma non tantissimo. È meglio per tutti arrivare a un’intesa, per gli americani per evitare che il problema si ripresenti, per gli iraniani perché hanno una situazione molto complicata dal punto di vista economico e sociale: nel Paese ci sono blackout continui, la gente si lamenta e il regime non è particolarmente amato. Per questo deve fare qualcosa, e se non riesce a dare una risposta militare deve darne una politica.

Dal Medio Oriente si alza un coro di condanna contro l’azione israeliana. In realtà, come la pensano i Paesi della regione, a cominciare da quelli del Golfo, Arabia Saudita in testa?

Ci sono state proteste dall’Arabia Saudita, tuttavia, diciamo la verità, questo attacco fa comodo a tutti. Non solo ai Paesi arabi, anche a quelli occidentali, all’Italia, alla Gran Bretagna, alla Francia. L’Iran con un’arma nucleare è una situazione che non piace a nessuno, neppure alla Cina e alla Russia. È il motivo per cui Israele guadagna credibilità internazionale.

Sarebbero tutti ancora più contenti se cambiasse il regime?

Il cambio di regime è una cosa più complicata, richiede processi interni che devono maturare. Non so se questo attacco sia un acceleratore, non ne sono così convinto. Per questo dobbiamo aspettare.

(Paolo Rossetti)

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Tags: Donald TrumpBenjamin Netanyahu

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