Trump calma i bollenti spiriti di Netanyahu per evitare lo scontro tra Israele e Turchia in Siria. Dopo che Ankara aveva messo gli occhi sulla base aerea siriana di Tiyas, conosciuta come T4, l’aviazione israeliana ha bombardato l’area, creando i presupposti per un conflitto tra i due Paesi. Tanto che, per calmare gli animi, israeliani e turchi si sono incontrati in Azerbaijan, a Baku.
Un vertice che non è bastato a risolvere la situazione, anche se poi, spiega Valeria Giannotta, direttore scientifico dell’Osservatorio Turchia del CeSPI, a gettare acqua sul fuoco ci ha pensato Donald Trump, che nel recente incontro con Netanyahu alla Casa Bianca ha fatto capire al premier israeliano che gli USA hanno buoni rapporti con la Turchia e che bisogna trovare una soluzione ragionevole per entrambi.
Il presidente americano ha deciso di ritirare le truppe a stelle e strisce dalla Siria, delegando proprio ad Ankara la difesa degli interessi statunitensi. Secondo alcune fonti, d’altra parte, lo stesso al Sharaa (nuovo leader siriano sostenuto dai turchi) sarebbe in realtà un “prodotto USA”, confermando il legame sempre più stretto (anche in funzione anti-iraniana) tra Stati Uniti e Turchia.
Perché Israele e Turchia si sono incontrati a Baku? Quali sono i motivi dello scontro fra i due Paesi?
Turchia e Israele sono arrivati veramente ai ferri corti nelle ultime settimane. Ankara aveva preso il controllo della base T4 in Siria, iniziando a dislocare lì i propri uomini e con l’intenzione di agire da security provider per Damasco. Il comparto difesa del Paese è ormai tendenzialmente siriano-turco. Un paio di settimane dopo questa iniziativa gli israeliani hanno effettuato dei bombardamenti nella zona. Secondo fonti arabe sarebbero stati uccisi cinque ingegneri turchi. Le fonti turche, invece, non ne hanno parlato: in quei giorni erano in atto le proteste per l’arresto di Imamoglu e forse una notizia del genere avrebbe giocato a sfavore di Erdogan.
Un episodio che poteva essere la scintilla di un nuovo conflitto.
Per calmare le acque si è tenuto un vertice a Baku: tra azeri e israeliani c’è un rapporto fortissimo, a livello militare e di approvvigionamento energetico, in chiave anche anti-iraniana, mentre l’Azerbaijan storicamente è un Paese fratello della Turchia.
È bastato questo incontro per rasserenare gli animi?
Contemporaneamente c’è stata la visita di Netanyahu da Trump, nella quale il presidente americano ha detto al premier israeliano che gli USA apprezzano Erdogan e lo ritengono un leader in grado di gestire la situazione dell’area. Per questo gli Stati Uniti sono pronti a mediare fra Ankara e Tel Aviv, a patto che Netanyahu sia disposto a sostenere una soluzione ragionevole.
Come si spiega questa sorta di altolà a Israele da parte degli USA?
L’America ha iniziato il ritiro delle truppe dalla Siria e Trump vede nella Turchia l’attore regionale che fa più gli interessi dell’America, contenendo l’Iran. Fra Erdogan e Trump, inoltre, c’è un rapporto di simpatia e di intesa che dura da tempo: anche al Sharaa, nuovo leader siriano che si appoggia ai turchi, sarebbe nato come esperimento americano. Insomma, tra le parti ci sarebbe un accordo per cui gli americani lasciano la Siria, i curdi (finora appoggiati dagli USA) rientrano nell’apparato di sicurezza siriano e la Turchia garantisce la stabilità della zona.
Il piano condiviso da Washington e Ankara è già in atto?
È quello che Trump vorrebbe, ovviamente facendo perno su Erdogan. A breve ci dovrebbe essere una visita di Erdogan negli USA oppure un tour in Medio Oriente di Trump, in cui la Turchia sarà il primo Paese visitato. Il ministro degli Esteri turco Hakan Fidan è già stato in America per incontrare il segretario di Stato Marco Rubio per preparare l’incontro fra i presidenti.
Perché gli israeliani non vogliono che i turchi controllino basi in Siria? Di cosa hanno paura?
Tra Israele e la Turchia c’è sempre stato un rapporto altalenante. Tendenzialmente Israele teme che la Turchia prenda sempre più piede nella regione e che questo vada a detrimento degli interessi israeliani. C’è una sfiducia reciproca tra i due Paesi. Lo si legge anche nei tweet che si scambiano i vertici governativi. Per Tel Aviv, Ankara si erge a paladina di Hamas, anche se poi è stata la prima ad ammazzare i curdi, suoi nemici. Il vero timore, però, è l’espansione dell’influenza turca nell’area. Il problema è anche Netanyahu: se al suo posto ci fosse un premier più moderato, le tensioni potrebbero allentarsi. Turchia e Israele, d’altra parte, sono sempre stati baluardi dell’Occidente in Medio Oriente.
La Turchia diventa una sorta di longa manus USA in Medio Oriente, ma i due Paesi hanno ancora dei dossier in sospeso, a partire dalle sanzioni internazionali contro la Siria. Si sta trovando una soluzione anche per queste?
La Turchia sta negoziando con l’America l’abbattimento delle sanzioni sulla Siria, condizionato da parte USA all’assenza di connivenze con elementi filo-terroristi, ma ha ripreso anche il dialogo sul caso dei caccia F35 dopo che Biden l’aveva esclusa dal programma. I contatti sono all’insegna di uno spirito molto improntato al business.
Cosa succederà allora in Siria fra Turchia e Israele?
C’è una corrispondenza tra gli interessi di Turchia e USA. Non dimentichiamoci anche che Ankara è nella NATO. La Turchia continuerà a curare la transizione in Siria: Erdogan è stato chiaro nel dire che non accetterà che venga messo a repentaglio il processo di stabilizzazione del Paese. Il suo interesse è di mantenere la sicurezza e gli avamposti occupati, anche se nel medio e lungo periodo verranno abbandonati.
Per capire come si evolverà la situazione bisogna aspettare l’incontro Erdogan-Trump?
La soluzione è già abbastanza profilata: l’America non se ne andrebbe mai dalla Siria se non avesse delle certezze sul futuro dell’area. Se Trump, come prima tappa del suo eventuale viaggio in Medio Oriente, scegliesse la Turchia, sarebbe un riconoscimento del ruolo del Paese. Poi bisognerà vedere cosa succederà a Gaza. Ho la sensazione che Hamas venga spinta alla negoziazione. Durante i giorni delle proteste per Imamoglu, i suoi esponenti si sono recati in Turchia.
L’interesse americano per la Turchia riguarda principalmente gli sviluppi della situazione siriana?
Il principale obiettivo è il contenimento dell’Iran: la Turchia è l’unico leader regionale in grado di svolgere questo ruolo. Poi bisognerà vedere cosa farà Trump in futuro, occorre tenere conto della sua imprevedibilità. Per ora, anche nella lista dei dazi, la Turchia è stata trattata da Paese amico: le è stato imposto un aumento solo del 10%.
(Paolo Rossetti)
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