Le nuove regole per l’ottenimento della cittadinanza italiana hanno provocato un’onda di proteste che però dimostrano come l’italianità salti fuori, in tutta la sua apparente concretezza, proprio quando alla fine vengono adottate misure che contengono un fenomeno che per troppo tempo ha partorito una situazione che aveva superato i limiti della decenza, seppur supportata da vecchie regole che definire metafisiche è poca cosa. Ora si invocano parziali retromarce sull’intera questione paventando un amor patrio che però è sempre stato ben nascosto e che ora appare ridicolo nella sua proposta.
Abbiamo sempre considerato la cittadinanza una cosa seria e non la vincita al lotto di un libretto che consente indubbi vantaggi al suo ottenimento, ma che d’ora in poi comporterà pure dei doveri (tutto sommato blandi) che ogni presunto italiano dovrà compiere. Di certo si è posta la parola fine non solo agli assalti alle nostre sedi consolari, ma pure all’intasamento, che ormai era diventato problematico, sia della nostra Amministrazione che pure di moltissime chiese ancora in grado di produrre certificati di due secoli fa.
È chiaro che ora si dovranno prendere (ma qui è meglio usare il condizionale) altri provvedimenti logici per far sì di preservare l’italianità e la conoscenza della cultura del nostro Paese, nonché della sua lingua, ovviamente. Ci permettiamo di suggerire delle modifiche, che rispondono a una cosa chiamata logica, e che senz’altro (se attuate) potranno creare un interesse più genuino sulla cittadinanza.
Anzitutto bisognerebbe iniziare con l’ampliamento del suo ottenimento anche ai bisnipoti che nella stragrande maggioranza dei casi si portano dentro l’italianità, anche attraverso l’obbligo di frequentazione di corsi di italiano per almeno due anni e successivamente, attraverso scambi a livello Erasmus, possano avere la possibilità di soggiorni nel nostro Paese: per fare ciò bisognerebbe rispolverare una norma raggiunta in un accordo siglato negli anni ’80 sotto il Governo di Alfonsin (poi cancellata durante la Presidenza Menem) che prevedeva l’insegnamento della lingua italiana nelle scuole pubbliche di primo e secondo grado, ovviamente facoltativo e per chi ne era interessato.
La questione farebbe anche il paio con il prossimo referendum (che molte comunità italiane vorrebbero utilizzare come protesta attraverso l’astensione) che prevede l’accorciamento a soli 5 anni di residenza per l’ottenimento della cittadinanza a chi in Italia è nato da genitori stranieri, portandolo a soli due per i bisnipoti di italiani nati all’estero, ma con un’istruzione nella quale l’italiano sia incluso.
Se le nuove norme hanno imposto uno stop definitivo al traffico di cittadinanze fatto attraverso organizzazioni private che spesso hanno alimentato circuiti non proprio legali, rimane un fattore importantissimo che va risolto attraverso l’applicazione di norme che già sono previste nei nostri codici: quello del voto all’estero.
Abbiamo già abbondantemente scritto di come praticamente in ogni occasione esso sia stato fonte di brogli anche comici, ma rimane curioso il fatto che lo stesso possa risultare decisivo nella creazione di Governi che poi i 60 milioni di italiani che vivono nella nostra cara Penisola devono sorbirsi anche contro la propria volontà, ma condizionati da moltitudini che di italiano hanno spesso perso la memoria.
Per restituire la legalità ai suffragi si deve imporre la soglia di sbarramento (valida per i partiti italiani) anche nei confronti dei vari movimenti di italiani all’estero che al momento non ce l’hanno: in poche parole o raggiungi il 3% di preferenze nel totale dei voti oppure in Parlamento non ci entri. Semplice no? Perché costringerebbe i vari movimenti a entrare nei partiti italiani, come già accade nelle elezioni in Spagna dove il voto all’estero è convogliato in partiti nazionali.
A questo punto si eviterebbero non solo brogli, ma anche influenze dovute ai repentini cambi di casacca attuali, permettendo elezioni più regolari, visto che a breve si farà un altro referendum che proporrebbe l’elezione diretta del Primo ministro.
Quindi aspettiamo l’attuazione di queste semplici e logiche norme affinché, come espresso da molti costituzionalisti, il voto rientri completamente nella sovranità di una nazione e di un popolo nella sua pienezza. Speriamo bene…
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