IUS SCHOLAE/ Di fatto c’è già, nessuna “discriminazione”: lo dicono i numeri

- Natale Forlani

Alla base della proposta per lo "ius scholae" vi sono premesse che risultano essere del tutto prive di fondamento

Ius Scholae Lapresse1280 640x300 Manifestazioni pro Ius Scholae (Lapresse)

La legge che regola il rilascio delle cittadinanze italiane per gli stranieri residenti da tempo nel nostro Paese, la n. 91 approvata nel 1992 meglio nota come legge Martelli, ha superato i trent’anni di vita. Una normativa ispirata alle legislazioni dei Paesi europei con esperienze consolidate in materia di accoglienza degli immigrati, e approvata dal Parlamento in un periodo storico che registrava una limitata presenza dei migranti provenienti da altre nazioni, limitata a poche centinaia di migliaia. Queste norme hanno subito poche modifiche, prevalentemente di tipo procedurale, a fronte di un incremento della popolazione di origine straniera diventato dirompente nel corso degli anni 2000.

Attualmente i cittadini di origine straniera regolarmente residenti sono circa 6,8 milioni, calcolando tra questi circa 1,6 milioni di persone che hanno ottenuto la cittadinanza italiana avendo maturato i 10 anni di residenza regolare nel territorio italiano che consentono di presentare la relativa domanda (4 anni per i cittadini dei Paesi aderenti all’Ue, 5 anni per le persone titolari di permessi di soggiorno per motivi di protezione internazionale) o per i vincoli di matrimonio o di parentela nel frattempo intervenuti.

La gran parte del rilascio delle nuove cittadinanze, circa 1 milione e 250mila, è avvenuto tra il 2011 e il 2020 per effetto della maturazione del diritto da parte di una quota significativa degli stranieri arrivati in Italia nel decennio precedente, con una punta annuale superiore alle 200mila nel 2015. Per effetto di questi trend, l’Italia si colloca al vertice della classifica dei Paesi dell’Ue per il numero delle nuove cittadinanze rilasciate nei 5 anni successivi, e il terzo Paese per il valore assoluto delle nuove cittadinanze rilasciate alle persone di origine extracomunitaria.

In questo arco di tempo 29 stranieri ogni 100 sono stati naturalizzati. Una quota che sale a 50 per la comunità marocchina e al 42 per quella albanese. Poco meno del 30% delle nuove cittadinanze riguarda cittadini provenienti da Paesi comunitari, per la grande maggioranza rumeni.

Questi numeri smentiscono una buona parte della leggenda dell’Italia come Paese restio a riconoscere la cittadinanza agli stranieri.

Le proposte di riforma della legge Martelli nel corso degli ultimi 10 anni risultano finalizzate all’obiettivo di accelerare il rilascio della cittadinanza italiana per i minori stranieri nati in Italia o per quelli successivamente ricongiunti con i genitori regolarmente residenti, con modalità distinte dai percorsi ordinari previsti per le persone adulte. Proposte che hanno assunto la denominazione di ius soli temperato (figli nati in Italia da genitori stranieri regolarmente lungo soggiornanti) ovvero di quelli entrati in Italia prima del compimento dei 12 anni di età dopo la frequenza di almeno un ciclo scolastico obbligatorio nel nostro Paese (ius culturae o ius scholae secondo la definizione adottata dalla recente proposta di legge di origine parlamentare che ha registrato il consenso della maggioranza dei componenti della Commissione che ha curato la redazione).

L’obiettivo dichiarato dei proponenti è quello di rimediare a tre criticità: eliminare le discriminazioni esistenti rispetto ai minori italiani; rilasciare la cittadinanza in tempi più rapidi rispetto al vincolo imposto di poterla richiedere dopo il compimento dei 18 anni; offrire una risposta congrua ai minori stranieri che si percepiscono a tutti gli effetti come italiani. La riforma della legge Martelli potrebbe consentire secondo i proponenti (Partito democratico, Leu, Italia viva) di dare la cittadinanza italiana a circa l’80% degli 1,050 milioni di minori extracomunitari e comunitari attualmente residenti in Italia.

Ottimi intenti. Un vero peccato che le premesse citate, e utilizzate per motivare la riforma della normativa vigente, risultino del tutto prive di fondamento, per i motivi che ci accingiamo a illustrare.

i) ai sensi della legislazione vigente, i diritti civili e sociali dei minori stranieri residenti in Italia risultano del tutto equiparati a quelli dei loro coetanei autoctoni. I diritti dei minori stranieri non accompagnati vengono assimilati a quelli dei minori italiani in condizioni di disagio, con i relativi supplementi di tutele che nei tempi recenti sono stati ulteriormente migliorati. Infatti, si fatica a trovare esempi di discriminazione legati a carenze normative. Si sottolineano, in particolare i vincoli che impediscono la partecipazione alle manifestazioni sportive, motivati da quelli previsti dalle federazioni internazionali per la finalità di evitare il rilascio facilitato delle cittadinanze agli stranieri rivolto a rafforzare in modo anomalo le rappresentanze nazionali, ovvero per contenere il numero degli stranieri nelle competizioni a squadre. I vincoli per la partecipazione alle competizioni nazionali sono stati normativamente rimossi negli anni recenti con l’approvazione di una norma di legge specifica e con l’adeguamento dei regolamenti delle federazioni aderenti al Coni.

ii) Non è vero che i minori stranieri devono attendere il compimento dei 18 anni per richiedere la cittadinanza. A fare chiarezza sulla materia sono le statistiche contenute nel recente rapporto annuale 2022 pubblicato dall’Istat. Infatti, circa 400mila minori l’hanno ottenuta in via automatica nel corso dell’ultimo decennio (il 37% del totale di quelle rilasciate), in relazione al rilascio della cittadinanza a uno dei genitori sulla base del requisito di residenza. Le domande inoltrate in presa diretta da ex minori stranieri sono circa 50mila. La quota delle cittadinanze rilasciate per motivi di trasmissione è passata dal 31% del 2011 al 45% del 2020 diventando la prima causale di accoglimento delle domande.

iii) Circa il 30% delle nuove cittadinanze, anche per la quota relativa ai minori, riguarda persone provenienti da Paesi comunitari. Condizione che rende del tutto superfluo il valore della cittadinanza italiana, anche per le finalità sportive, e che comunque può essere richiesta dai genitori dopo 4 anni di residenza nel nostro territorio.

iv) Le richieste di cittadinanza inoltrate dai cittadini extracomunitari residenti in Italia da oltre 10 anni risultano sottodimensionate rispetto al potenziale delle persone adulte che hanno maturato il diritto, perché circa 40 Paesi (i più importanti la Cina, l’India, l’Ucraina) non riconoscono la doppia cittadinanza. Una condizione che comporta una serie di complicazioni per la gestione delle relazioni familiari e patrimoniali con i Paesi d’origine. Negli ultimi 5 anni più di 150mila nuovi cittadini italiani sono tornati nel Paese d’origine (40%) o si sono trasferiti in altri Paesi europei o extra Ue.

v) Riguardo a come si percepiscono i minori stranieri in termini di appartenenza alla comunità italiana, un’indagine dell’Istat su un campione di 68mila minori che frequentano i cicli scolastici e appartenenti alle diverse comunità di origine presenti in Italia, pubblicata nel 2020, rivela che tra questi: solo il 38% dichiara di sentirsi italiano, il 15% desidera tornare nel Paese d’origine, il 42% non esclude di trasferirsi in altri Paesi. Il rapporto annuale dell’Istat citato conferma che il 59% dei ragazzi di origine straniera (compresi quelli diventati cittadini italiani) prende in considerazione di trasferirsi in altri Paesi.

Fatti i debiti conti, l’effetto pratico di una legge di riforma che prevede il rilascio della cittadinanza per i minori dopo la frequentazione di un ciclo scolastico obbligatorio (5 anni), e che richiede comunque il consenso di almeno un genitore lungo soggiornante, potrebbe consentire, nella migliore delle ipotesi, un’anticipazione di 2-3 anni per la presentazione della relativa domanda rispetto a quanto potrebbe avvenire sulla base dei requisiti vigenti per circa 280mila minori stranieri, calcolando anche i minori quelli delle famiglie provenienti da Paesi comunitari (stima contenuta nel Rapporto annuale Istat 2022). Un risultato che potrebbe essere ottenuto anticipando di un analogo periodo i requisiti di residenza per la presentazione della domanda da parte dei genitori sulla base di criteri premiali (frequentazione dell’obbligo scolastico da parte dei figli, assenza di reati penali, ecc.). Una modalità che sarebbe rispettosa del ruolo delle famiglie e dei genitori che rimangono comunque i principali protagonisti e responsabili dei percorsi di integrazione.

Si possono legittimamente avere opinioni diverse sulla materia. Di ritenere che sia corretto separare i destini dei figli minori rispetto ai genitori, che rimangono comunque i principali responsabili del loro percorso di integrazione. Ma francamente trovo irritante che vengano definite con i termini di progresso e di civiltà, con l’esplicito intento di intimorire gli eventuali dissidenti, delle proposte di legge del tutto opinabili.

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