E’ difficile pensare che un personaggio quieto, sensibile, gentile (quando ebbi occasione di intervistarlo, una ventina di anni fa, la sua timidezza traspariva evidente e non smise mai di chiamarmi “Sir”, quasi si trovasse a un colloquio con un docente universitario) come James Taylor, il cantautore intimista per eccellenza, sia stato un eroinomane per circa quindici anni della sua vita, peraltro quelli in cui ha inciso i suoi dischi migliori. Esattamente dagli esordi come musicista a fine 1967 fino alla disintossicazione finale nel 1983. Lo ha raccontato lui stesso in una serie di interviste di poco tempo fa e anche nella sua biografia uscita nel 2015. Anni di disintossicazioni e ricadute a cui va aggiunto un ricovero in ospedale psichiatrico a 16 anni, per depressione e ansia, così come sarebbe successo anche a due dei suoi fratelli. La famiglia Taylor infatti,dell’alta borghesia di Boston, fu profondamente traumatizzata da un padre alcolizzato e da una madre assente, che quando il marito con i figli si trasferì nella Nord Carolina per lavoro, si rifiutò di andare con loro perché odiava la società razzista e “ignorante” del sud.
James Taylor è stato un tossicodipendente come lo era Lou Reed, forse per un periodo ancor più lungo, ma la sua dipendenza non fu quella tipica del mondo glamour del rock’n’roll. Si trattava di paura ansiogena: “Lo facevo per essere in grado di prendere qualcosa che risolva il tuo stress interno. Uno dei segni che hai un problema di dipendenza è quanto bene funziona per te all’inizio. È la cosa che ti fa dire: “Dannazione, mi piace la mia vita adesso”. Taylor dice che principalmente ha usatola droga per “sentirsi normale”. Non solo. “Fui una pessima influenza per i Beatles” racconta ancora.
James Taylor fu infatti uno dei due artisti messi sotto contratto dalla Apple Records, la casa discografica dei Beatles dalla vita brevissima, grazie alla conoscenza con Peter Asher, fratello dell’allora moglie di Paul McCartney. Il bassista dei Beatles lo mise immediatamente sotto contratto e il cantautore pubblicò il suo esordio a inizio 1968: “Frequentare i Beatles fu una cattiva influenza per loro, feci conoscere a John gli oppiacei”. Lennon, secondo molti resoconti, ha preso l’abitudine dell’eroina proprio nel 1968, uno dei motivi che portarono allo sfaldamento dei Beatles.
James Taylor sarebbe tornato dalla sua esperienza londinese devastato (il disco sarà un insuccesso commerciale per via dei casini interni della Apple, pur contenendo due suoi futuri capolavori come Something in the way she moves – da cui George Harrison “rubò” il primo verso per la sua Something – e Carolina in my mind). Sarà proprio il padre ad andarlo a prendere a New York per portarlo in una clinica per la sua prima disintossicazione. Durante quel ricovero scrive le canzoni che faranno parte, due anni dopo, del suo vero e proprio esordio, questa volta successo commerciale immediato, Sweet Baby James, un disco di soffuso country e folk dal tono dimesso. Nel disco, anche Fire and rain, che parla di una amica ricoverata anche lei in clinica e morta suicida. Il verso “Ho visto momenti solitari in cui non riuscivo a trovare un amico”, spinse Carole King a scrivere You’ve Got a Friend per lui in risposta.
Senza saperlo, Taylor dà vita a quella generazione di cantautori (con lui, fra i tanti, Joni Mitchell, Jackson Browne, Eric Andersen, Carole King,) della cosiddetta “Me Generation”, quella che abbandona ogni spinta ideale e rivoluzionaria degli anni 60 per concentrarsi unicamente su se stessi e sui rapporti affettivi, quasi sempre disastrosi. Avrà una relazione durata circa un anno con Joni Mitchell, finita in modo burrascoso proprio per il suo ritorno all’eroina, che lei descrive nella amarissima Cold blue steel and sweet fire, piena di immagini devastanti come il lavandino del bagno pieno di sangue, siringhe nelle vene.
E’ in questo periodo che incide il suo terzo album, Mud Slide Slim and the Blue Horizon di cui ricorre quest’anno il cinquantesimo anniversario, probabilmente il più bello, il più maturo, quello che lo definirà per sempre come il maestro di quel genere di canzone. Ma rispetto al precedente, anche quello meglio prodotto, meglio suonato, ricco di varie influenze musicali, addirittura in un paio di brani una sezione fiati che fa trasparire il suo amore per la musica black. Accompagnato da un cast di musicisti formidabili, il cuore della nuova musica californiana (Danny Kortchmar, Carole King, Leland Sklar, Russ Kunkel, i Memphis Horns, Joni Mitchell) racchiude canzoni di una bellezza cristallina. Dall’ode all’amore che dura una notte sola, You can close your eyes, perfetta rappresentazione di una generazione troppo disconnessa per affidarsi ai rapporti duraturi, al desiderio innato di abbandonare sempre ogni sicurezza per la vita on the road (“Avevo una donnina a Memphis voleva essere mia moglie, diceva, sistemati, viaggiatore, puoi restare a fianco a me, cercai davvero di accontentarla, ma non ci riuscii a lungo perché un sabato notte mentre ero a letto, ho sentito questa canzone della strada e sono ripartito”). Inquietudine esistenziale, vita da musicisti. E ancora. Il cantante come espressione di un disagio che gli ascoltatori non avvertono, i musicisti sono solo oggetto di consumo in un jukebox dove basta infilare una monetina per riascoltare ogni volta il loro pianto (“Ehi signore sono io dentro al jukebox, sono quello che canta questa triste canzone e piangerò ogni volta che infili un’altra moneta, ed eccolo cantare ancora una volta una triste canzone”).
Sarà l’incisione quasi in contemporanea alla versione originale dell’autrice, Carole King, di You’ve got a friend a portarlo per la prima e unica volta al numero uno delle classifiche, ma il significato profondo del disco sfugge ai più, anche se quell’immagine in copertina, che mostrano un uomo chiaramente devastato dalla droga, avrebbero dovuto far percepire altro.
E’ la canzone che intitola il disco a svelare qualcosa, anche se è un fatto acclarato che i musicisti non rivelino mai il vero significato delle loro canzoni, preferendo nascondersi. Chi è Mud Slide Slim e chi sono i Blue Horizons da cui il cantante dichiara una esplicita “dipendenza”?? Il brano musicalmente è uno straordinario funky soul così diverso dal suo stile, anche se dolcemente declamato come solo lui sa fare. Ritmo sostenuto, congas e batteria incalzanti, chitarra funk, e James Taylor che sciorina con inaspettata abilità il verbo dell’R&B, seguendo in modo sinuoso l’incedere musicale. Apparentemente una canzone simbolo del periodo storico, la fuga dalle grandi metropoli, l’isolamento nella natura, il desiderio di solitudine da un mondo troppo incattivito (“Con dei soldi in mano prenderò un pezzo di terra mi costruirò una casetta nei boschi, Dio, è qui che resterò fino a quando giungerà un giorno in cui questo vecchio mondo comincerà a cambiare in meglio”) tipico di quel momento storico che ha visto fallire i grandi sogni di cambiamento della sua generazione. Ma c’è un elemento ambiguo che fa capolino: “Mud Slide Slim and the Blue Horizon, io dipendo da te (…) non riesco a mangiare, non riesco a dormire, ma potrei muovere i miei piedi”. E’ Mud Slide Slim uno spacciatore o una droga da “cui dipende”? Incapace di mangiare, incapace di dormire, una crisi di astinenza? Per fortuna “non c’è niente altro come “il suono della sweet soul music per cambiare la mente di una giovane signora e non c’è nulla come una passeggiata giù nel bayou per lasciarsi dietro questo mondo”. Nulla, come la droga, ti fa dimenticare ogni preoccupazione. Il rimo in crescendo del finale è irresistibile, e Taylor si lascia andare a un grido selvaggio “Stoney Lee Blue Borne suona un basso fretless, la piccola Oil Slick scivola, schiaffeggia e scivola Kootcherooooo”.
Il grande successo commerciale ne fa una star che finisce anche in copertina della prestigiosa rivista Time. Un anno dopo si sposa con l’affascinante Carly Simon, già attiva negli anni 60 nella scena del Greenwich Village con la sorella, appartenente anche lei a una delle più grandi famiglie, i Simon della casa editrice Simon & Schuster. Un matrimonio durato quasi dieci anni, nonostante i suoi problemi di dipendenza, e anche due figli, ma destinato a finire.
Ma Sweet Baby James riuscì a liberarsi finalmente da ogni dipendenza, dopo una dura lotta con il metadone negli anni 80. Proprio in questi giorni ha vinto un ennesimo Grammy Award per il suo ultimo disco, American Standard, una raccolta di brani del Great American Songbook proprio come ha fatto Bob Dylan in anni recenti, come miglior album di pop tradizionale. Ha appena compiuto 73 anni e non ha intenzione di appendere la chitarra al chiodo. Da qualche parte, però, il fantasma di Mud Slide Slim si aggira ancora per il bayou e ogni volta che infileremo una monetina in un jukebox potremo sentire ancora una volta la sua triste canzone che ne esce.