Erano duecento ieri i sopravvissuti ai campi di concentramento di Auschwitz che hanno varcato i cancelli con la scritta «Arbeit macht frei» (il lavoro rende liberi): luogo dell’orrore reso tale da Joseph Mengele delle SS e molti altri. Il più anziano aveva 101 anni, la più giovane ha l’età della Resistenza, 75 anni, essendo nata nel campo del terrore. Nel Giorno della memoria, la consapevolezza che potesse essere una delle ultime occasioni per visitare il luogo che ha sconvolto così tante vite era diffusa. Tra i presenti non c’erano i tredici italiani ancora in vita, stando ai dati del Cdec (Centro di documentazione ebraica contemporanea). C’era invece Jona Laks 90 anni, viene da Israele. È una delle ospiti d’onore delle celebrazioni di oggi: “Sembra impossibile che sia passato tanto tempo – racconta alla Reuters sotto il cielo grigio di Auschwitz -. Rivedo il forno, le scintille dal camino, l’odore della carne bruciata”.
“MENGELE DELLE SS ARRIVO’ CON I CANI…”
Come riportato da Michele Farina sulle pagine del Corriere della Sera, Jona “aveva 14 anni quando dal ghetto ebraico di Lodz, nella Polonia occupata dai nazisti, fu condotta al Lager nel carro bestiame, con la gemella Miriam e la sorella più grande Chana. A fare la selezione c’era un dottore delle SS: il suo nome era Joseph Mengele, il famigerato “Angelo della Morte” . Jona racconta: “Arrivò con i cani e un bastone. Destra, sinistra, destra, sinistra. Non penso che guardasse le persone, sembrava annoiato. Quando ci separarono, mia sorella maggiore lo implorò: “Non separi due gemelle”». Ma Mengele, riporta il Corsera “era interessato per aberranti motivi pseudoscientifici agli esperimenti su donne incinte e fratelli siamesi, mandò un ufficiale a recuperare Jona dalla fila di sinistra”. «Fui fortunata – dice oggi lei -. O forse sfortunata», prosegue dopo un istante di silenzio. “A volte penso che neppure gli animali potrebbero sopravvivere alle crudeltà a cui fummo sottoposti”. Pochi passi più in là, al blocco 10, il laboratorio di Mengele: “Dall’ interno, sentivamo i lamenti di chi veniva assassinato”. Poi uno sguardo ad Aldar, la nipote: “Sono qui con mia nipote, e posso dire che ce l’abbiamo fatta”.