Questo non è un articolo, così come l’evento “Spavaldi e Fragili” andato in scena al Teatro Dal Verme di Milano lo scorso lunedì non era uno “spettacolo”. Davanti ad un insieme di testimonianze come quelle raccolte dall’associazione Kayros di Don Claudio Burgio infatti è difficile rimanere “indifferenti”, e serve riconoscere quello che si è smosso dentro ognuno dei presenti sugli spalti (e sul palco). Questo che leggete dunque è un “riconoscimento”, senza perdersi in lodi sperticate o zuccherose: è il riconoscimento che davvero il male può esistere nel mondo, ma che il bene – il quale nasce da un rapporto umano – è l’unico vero strumento salvifico di cui disponiamo.
Ammirazione, lontananza, dolore, amicizia, distanza o piena comprensione della musica rap che ha animato i tanti interventi dei ragazzi presenti, e ancora tanto male, male, male, fino ad una luce, un intravedere del bene. C’è tutto e il contrario di tutto in quell’esperienza raccontata dai ragazzi di Kayros, c’è tanta commozione ma anche tanta domanda sul futuro: e poi c’è un incontro, che poi è la base di qualsiasi vero cambiamento umano. Un incontro tra la Cooperativa “Cura e Riabilitazione” e appunto la comunità di Don Burgio che segue i ragazzi minori nel difficile reinserimento nel mondo della legalità dopo passati e vicende difficilissime e tormentate. Un incontro che permette a dei ragazzi portatori di disabilità fisiche e psichiche di poter ridere, cantare, lavorare, scherzare con ragazzini che per altre circostanze vengono guardati con ugual diffidenza dal mondo esterno: e per i ragazzi di Kayros, l’incontro con i disabili di “Cura e Riabilitazione” è la riscoperta continua che in un’umanità differente è possibile cogliere un bene e un “surplus” per sé. Sorridono sorpresi gli adolescenti di Don Burgio quando un giovane del “Centro Cardinale Colombo” (uno degli enti che fa parte della Cooperativa “Cura e Riabilitazione”), nel raccontare gli incontri alla Kayros, rimane colpito dalla «gentilezza di questi ragazzi». Dei rapper che parlano, seppur ancora giovanissimi, di suicidio, di vita impossibile, di perdono quasi irraggiungibile, ecco per ragazzi così vedersi definiti come “gentili” dai giovani disabili è qualcosa che forse cambierà per sempre la loro percezione di cosa è possibile compiere nella vita di buono, a prescindere da quanto male si è fatto nel passato. Come ha spiegato perfettamente l’assessore alla Cultura di Regione Lombardia, Francesca Caruso, che ha personalmente patrocinato l’evento fidandosi del progetto, «una sfida nata quasi per caso è divenuto un incontro. La cultura è il miglior antidoto al disagio dei giovani»
Vedere sul palco Federico e Andrea in carrozzina duettare nella trap è uno spettacolo, non tanto per le qualità canore ma per il volto che emanano tutti i ragazzi: sono lieti, sono felici, e lo riconoscono senza doverlo per forza raccontare a parole. Basta guardarli: del resto sono sempre i giovani di “Cura e Riabilitazione” che spiegano con semplicità una verità umana tanto tonante, «abbiamo bisogno di altri per vivere ma questo è possibile perché siamo accompagnati da persone che vivono con noi la vita e le fragilità». È quella semplicità che ha smosso i cuori di ragazzi cresciuti in mezzo ad un strada, dentro e fuori il riformatorio: una semplicità di cuore che ogni persona può ricercare dentro di sé, dal disabile al minorenne con precedenti penali, all’educatore, dalle famiglie ai semplici spettatori che al Dal Verme in molti si sono visti inumidirsi i volti. È “solo” un problema di riconoscimento (e per chi ci crede, di Grazia): è quel riconoscimento di semplicità che deve aver colpito anni fa la mamma di Lorenzo, ragazzo ucciso nel 2011 dopo una banalissima lite in un parchetto nella Brianza. Salita sul palco invitata da Don Burgio, questa donna così mite eppure così straordinaria, ha parlato col cuore aperto del rapporto a distanza nato con il ragazzo omicida del figlio: «Non bisognava avere rabbia ma compassione per questo ragazzo, nessun odio». Ha parlato di perdono e nell’abbraccio che gli altri ragazzi di Kayros le hanno tributato si scorge una verità profondamente umana (e forse non solo umana): è come se il suo perdono fosse giunto a tutti loro, a tutte le loro vite tribolate. Un perdono di cui tutti, prima o poi nella vita, abbiamo bisogno.
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