In un clima diplomatico tutt’altro che rilassato, tra le rovine fisiche e simboliche di un’Ucraina spezzata dalla guerra, arriva la firma virtuale di un memorandum d’intenti tra Kiev e Washington, preludio a un patto economico che – almeno nelle intenzioni – promette investimenti, sviluppo e ricostruzione, ma che sullo sfondo cela una partita geopolitica molto più complessa, ambigua e per certi versi inquietante.
Secondo quanto dichiarato dal Ministro dell’Economia Yulia Svyrydenko, si tratterebbe di “un primo passo verso un partenariato economico strategico” fondato su un fondo bilaterale per la gestione delle immense risorse naturali dell’Ucraina, incluse le sempre più ambite terre rare.
L’accordo – avvenuto a distanza tra uffici ben arredati ma separati da un oceano di interessi – inaugura una nuova stagione di trattative serrate che vedono Kiev protagonista, ma non sempre al comando.
Lo spettro del precedente scontro tra Zelensky e Donald Trump, quando alla Casa Bianca i toni divennero incandescenti, aleggia ancora sul tavolo delle negoziazioni: “Non è l’accordo definitivo, ma riflette la nostra volontà positiva e costruttiva”, ha dichiarato Zelensky, lasciando intendere che il memorandum – pur essendo un’intesa di principio – risponde anche all’urgenza di mantenere viva l’attenzione americana sul destino di Kiev.
Una strategia necessaria per evitare che il supporto economico si trasformi in mero sfruttamento delle risorse locali, condizione temuta da più voci all’interno del Parlamento di Kiev. In un contesto globale in cui il controllo dei minerali critici è diventato il nuovo oro nero, ogni firma ha il peso di una scelta storica: cooperare o cedere?
Kiev tra memorandum e terre rare: un un passo avanti, ma chi controlla davvero il futuro dell’Ucraina?
Il secondo paragrafo dell’accordo – quello che ancora deve essere firmato – sembra già essere inciso nel granito della diplomazia americana ed è proprio lì che si delineano le condizioni: accesso privilegiato per gli Stati Uniti alle risorse minerarie ucraine – dai giacimenti di titanio alle terre rare indispensabili per la tecnologia verde e militare – e un consiglio di vigilanza con diritto di veto, elemento che ha sollevato più di una perplessità nei corridoi di potere di Kiev.
Secondo fonti interne al governo, la proposta iniziale americana si spingeva ben oltre la semplice collaborazione: mancavano garanzie di sicurezza per l’Ucraina in caso di escalation con la Russia, e si prevedeva una ripartizione delle entrate che avrebbe potuto svuotare di significato il concetto stesso di sovranità economica.
Da qui, la decisione del governo di affidarsi a uno studio legale statunitense per rinegoziare i termini, nella speranza di arginare le richieste più invasive: l’inchiesta ordinata da Zelensky sulla fuga di notizie relative alla proposta americana – con tanto di test poligrafici per i funzionari – mostra quanto sia alta la posta in gioco e quanto il clima sia diventato rovente.
Parallelamente, si muove anche la diplomazia dei simboli: le foto postate da Svyrydenko sui social, con le firme avvenute a distanza, evocano una cooperazione all’apparenza equa, ma la domanda resta: sarà davvero così?
Se da un lato gli Stati Uniti legano questo accordo ai miliardi di dollari già versati in aiuti militari, dall’altro Kiev si trova nella posizione fragile di chi ha bisogno ma teme di perdere l’autonomia: “Staremo a vedere”, ha chiosato Trump, lasciando intendere che il vero accordo è ancora tutto da scrivere.