ROMA CITTA’ APERTA/ Il capolavoro neorealista di Rossellini tornava a Venezia 5 anni fa

- Massimo Bordoni

Roma Città Aperta, uscito 65 anni fa, si aggiudicò il Grand Prix a Cannes e divenne manifesto del neorealismo. È tornato a Venezia nel 2006 in versione restaurata. Ne parla MASSIMO BORDONI

Roma_citta_apertaR400 Una scena di Roma città aperta

Sessantacinque anni fa Roma Città Aperta di Roberto Rossellini si aggiudicava il Gran Premio della Giuria al Festival di Cannes, riconoscimento che onorava l’intero cinema italiano, allora impegnato in una rivoluzione, soprattutto stilistica, destinata a lasciare il segno nella storia della settima arte. Tale rivoluzione si chiamava neorealismo, di cui il film di Rossellini era cronologicamente il primo esito compiuto, di importanza epocale, manifesto implicito del movimento e capolavoro assoluto. Il regista hollywoodiano Otto Preminger, sintetizzando il pensiero di molti, arriverà ad affermare che “la storia del cinema si divide in due ere: una prima e una dopo Roma Città Aperta”.
Ancora oggi molti autori indicano nel neorealismo italiano la più grande scuola. Sono innumerevoli i cineasti, sia moderni che contemporanei, sia occidentali che orientali, i quali – seppure per motivi anche assai diverse tra loro – hanno indicato e indicano nei caratteri del neorealismo l’ispirazione della propria arte, la matrice del proprio sguardo sul mondo, la ragione profonda del proprio fare cinema.
Il motivo di tutto ciò è rintracciabile nell’estetica del cinema neorealista. I film di questa breve stagione – quella propriamente detta si manifestò tra il 1945 ed il ’48 – contengono un qualcosa di mai visto prima su uno schermo cinematografico. Questo qualcosa sta innanzitutto nella forma espressiva, in prima istanza descrivibile come una sorta di sconvolgimento visivo, di rottura dei codici classici. Il montaggio tradizionale trasparente, perfettamente leggibile dallo spettatore, l’inquadratura ordinata e pulita, le storie ben costruite a tavolino e le sceneggiature elaborate, la recitazione accademica diventano improvvisamente ridondanti di fronte alla necessità di mostrare e raccontare le nuove condizioni del mondo post-bellico.
Il neorealismo è allora anche la rinuncia ai vecchi modelli espressivi, in favore di una nuova estetica che nasca dalla ricerca di nuove forme per meglio interpretare un mondo cambiato, che passi anche attraverso la temporanea anarchia della narrazione, la confusione e gli errori imposti dalla scarsezza dei mezzi disponibili. Il cinema riparte da capo, cercando un nuovo modo di guardare ogni cosa: esigenza imposta dalla mutata realtà del mondo che, variamente rielaborata, darà vita al cinema moderno.

Roma Città Aperta, che doveva essere solo un documentario sul sacrificio del sacerdote romano Don Luigi Morosini durante l’occupazione nazista della città, finisce per diventare narrativo, traendo dall’episodio l’ispirazione per intrecciarne altri. Varie vicende si accavallano nella Roma occupata. La popolana Pina (Anna Magnani) è fucilata mentre rincorre il camion su cui il marito, tipografo impegnato nella resistenza, sta per essere deportato. L’ingegnere comunista Manfredi, fatto arrestare dalla ex amante, muore per le torture della Gestapo. Don Pietro (Aldo Fabrizi), il parroco che protegge i partigiani, finirà fucilato sotto gli occhi dei bambini della sua parrocchia, tra cui il figlio ormai orfano di Pina, che già aveva visto l’assassinio della madre.
Sceneggiato da Rossellini con Sergio Amidei, Federico Fellini e Celeste Negarville, il film venne girato dopo la liberazione della città (giugno 1944) in condizioni precarie, in set improvvisati e di fortuna, spesso con l’utilizzo di pellicola scaduta. Lo stile ne venne influenzato moltissimo, sotto forma di errori nel montaggio ed imprecisi, affrettati movimenti di macchina, truffaldini rivelatori della presenza della medesima. Ma l’importanza del film sta proprio in questo: dopo la guerra muta la percezione del mondo, ci sono tante cose urgenti da dire e mostrare allo spettatore, la forma trasparente e rigorosa del cinema classico non è più funzionale, quindi viene messa in disparte ancorché non abbandonata del tutto. Il disordine e gli errori diventano elementi portanti di un cinema nuovo, meno raffinato ma più espressivo ed immediato del cinema classico.
Per il Rossellini di Roma Città Aperta il realismo è uno sguardo curioso e rispettoso sul mondo, che non pretende di spiegare o interpretare nulla, ma vuole solo osservare. Come precisò il critico francese dei Cahiers du Cinèma Andrè Bazin, “Rossellini non dimostra, mostra”. Frase che contiene in estrema sintesi la fondamentale differenza tra il cinema classico e quello moderno, di cui il neorealismo fu the spark that sets the flame. L’ammirazione di Preminger, enunciata dalla frase sopra riportata, non appare quindi eccessiva: il neorealismo italiano è stato effettivamente un punto di svolta cruciale di tutta la storia del cinema, e Roma Città Aperta, suo manifesto, ebbe meritati riconoscimenti e notevole successo internazionale. 

Il film vanta anche una pellicola che ne racconta il making of, di valore discutibile. Basti ricordare che in questo, l’attore di film balneari (per essere buoni) Massimo Ciavarro interpreta la parte del fidanzato pro tempore della Magnani, e padre del suo unico figlio, il bravo caratterista brillante – e noto playboy – Massimo Serato.
Oltre a quanto detto circa l’importanza storica del film, Roma Città Aperta rimane nella nostra memoria anche per la pietosa scena in cui la Magnani, fattasi largo a spinte tra due soldati tedeschi, rincorre il camion su cui deportano il marito, venendo poi falciata da una raffica di mitra per rimanere a terra supina, morta, in mezzo alla strada affollata. La scena più celebre dell’intero cinema italiano.







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