Nel quarantesimo anniversario della scomparsa, celebriamo oggi la figura di Anna Magnani come quella di un’attrice che non aveva, e più non ha avuto, eguali nel panorama cinematografico italiano, e forse mondiale. Talento recitativo cristallino, attrice istintiva prima che studiata, geniale nel sapere prima di conoscere, la Magnani nasce a Roma nel 1908, figlia naturale di padre calabrese – che non conoscerà mai – e di una sarta originaria delle Marche, Marina Magnani. Abbandonata molto piccola dalla madre trasferitasi in Egitto per matrimonio, Anna viene allevata dalla nonna materna, cresce in un quartiere della Roma popolana in una casa abitata da cinque zie e uno zio. Circostanze di dissesto parentale che, cosa comune a molti spiriti geniali, la porteranno a sublimare la sete d’affetto nell’arte dei saltimbanchi. Nacque allora nella culla, causa qualche lacrima in più e qualche carezza in meno – come amava dire lei stessa -, quella voglia di spaccare tutto, di urlare, di vivere che l’ha condotta a esprimersi recitando, quindi alla fama internazionale.
Anna Magnani si sente attrice da sempre. Inizia nel gennaio del 1927 a frequentare, con Paolo Stoppa, la scuola d’arte drammatica intitolata a Eleonora Duse, che diventerà nel 1935 l’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica. Il talento è chiarissimo e gli ingaggi immediati. Negli anni tra il 1929 e il 1934 è impegnata in tantissima attività teatrale, principalmente di taglio melodrammatico, prima con la compagnia Vergani-Cimara, poi con quella diretta da Antonio Gaudisio, nella quale ritrova il compagno d’accademia Paolo Stoppa.
Dal 1934 passa alla rivista con la compagnia dei fratelli De Rege. Nello stesso anno debutta al cinema ne La Cieca di Sorrento, in cui interpreta un’amica della protagonista. Ci vogliono però alcuni anni e altri sette film in ruoli secondari e da caratterista perché arrivi la parte e il regista importanti, con Teresa Venerdì (1941) di Vittorio De Sica. Dal citato esordio sul grande schermo a tutti gli anni Quaranta alterna con successo l’attività cinematografica con quella teatrale. Sono gli anni della grande rivista e dell’avanspettacolo, sui palchi dei migliori teatri nazionali divide la scena, accumulando esperienza, con attori e attrici quali Totò, Mario Castellani, Aroldo Tieri, Ave Ninchi, Marisa Merlini, Lea Padovani, Gianni Agus, Gino Cervi, Raimondo Vianello.
Al cinema cresce la sua popolarità, ha modo di affermarsi come attrice capace sia di ruoli brillanti che impegnati. Sono gli anni di La Vita è Bella (C.L. Bragaglia, 1943), Campo de’ Fiori (M. Bonnard, 1943) a fianco di un altro gigante come Aldo Fabrizi, e soprattutto Roma Città Aperta (R. Rossellini, 1945). Nel 1942 causa la gravidanza frutto della relazione con l’attore Massimo Serato, che da elegante playboy impenitente rompe subito il fidanzamento, deve rinunciare a Ossessione di Luchino Visconti, che la sostituisce con Clara Calamai. Nell’ottobre dello stesso anno nasce così il suo unico figlio, Luca, al quale riesce a imporre il proprio cognome.
Raggiunta la fama internazionale con Roma Città Aperta, per qualche anno pare diventare la musa dei maestri del neorealismo (e dintorni). Gira infatti, tra gli altro, Il Bandito (A. Lattuada, 1946), L’Onorevole Angelina (L. Zampa, 1947), L’Amore (1948), ultimo film con Rossellini – che sancisce anche la fine della loro relazione – e Bellissima (1951) di Luchino Visconti, sceneggiato dall’ideologo del movimento neorealista Cesare Zavattini. Tutte pellicole che accrescono il suo valore e la sua esperienza, facendone un’icona dell’Italia della rinascita: la vuole fortemente Jean Renoir, che la dirige nel suo Le Carrosse d’Or (1953), e ora la vuole anche Hollywood, preludio all’imminente trionfo internazionale. Il 21 marzo 1956 infatti Anna Magnani è la prima attrice italiana a aggiudicarsi il premio Oscar come miglior protagonista femminile per La Rosa Tatuata (D. Mann, 1955), film girato in America e recitato in inglese al fianco di Burt Lancaster.
L’Oscar porta credibilità artistica, soprattutto negli Usa, e potere contrattuale. Tornata in Italia dopo altre pellicole americane (Selvaggio è il Vento, di G. Cukor nel 1957 e Pelle di Serpente di S. Lumet nel 1959), Anna può quindi permettersi di diradare gli impegni e scegliere i copioni più graditi. Questa fase matura della sua carriera conosce quindi, quali momenti più significativi, l’incontro con Pier Paolo Pasolini e la rimpatriata con Totò. Con quest’ultimo gira infatti la commedia Risate di Gioia (M. Monicelli, 1960), mentre per il maestro friulano è una prostituta sulla via del riscatto nel suo secondo lungometraggio Mamma Roma (1962).
I premi cinematografici spesso obbediscono – storicamente molto lo hanno fatto in Italia – a ragioni geo-politiche, ma anche sono un meritato riconoscimento del talento di chi li riceve. Oltre all’Oscar già ricordato, la Magnani dal 1946 al 1959 ebbe, per le sue intense e versatili interpretazioni, cinque Nastri d’Argento – di cui uno per attrice non protagonista -, due David di Donatello, una Coppa Volpi al Festival di Venezia e un Orso d’Argento a quello di Berlino. Nell’anno della morte arrivò anche un Globo d’Oro, premio alla miglior attrice di film per la tv (mezzo che lei non amava) per Correva l’Anno di Grazia 1870, di Alfredo Giannetti.
Con lo stesso Giannetti, lasciato il cinema, intrattiene una collaborazione per alcuni film tv, che coincideranno con le ultime recite della carriera. Sono così prodotti, nel 1971, tre brevi film tv: Tre Donne: la Sciantosa, 1943: un Incontro e L’Automobile. Il già citato Correva l’Anno… uscirà invece prima nelle sale, nel 1972, per passare in tv successivamente. Coincidenza del destino volle che, già programmato, passò proprio la sera della morte dell’attrice.
Poi l’epilogo: l’amichevole breve apparizione, nei panni di se stessa, nel felliniano Roma (1972) è la sua ultimissima immagine cinematografica; che, a posteriori, suona come una sorta di affettuoso e struggente commiato. Ma a noi piace più che tutto ricordarla nella bellissima sequenza di Roma Città Aperta, quando rincorre urlando il marito deportato e, falciata da un mitra nazista, rimane esanime stesa in mezzo alla strada. «Ti ho sentito gridare “Francesco” dietro un camion, e non ti ho più dimenticato», ha scritto Giuseppe Ungaretti di quella scena, la più famosa ed esportata dell’intero cinema italiano.