Si parte da un fatto di rilevanza internazionale che molti di noi ricordano ancora, gli “accordi di Oslo” siglati nell’agosto del 1993. Come spesso capita durante eventi di questa importanza, dopo giorni e giorni trascorsi a discutere, tra i negoziatori cadono non solo le barriere politiche ma anche quelle culturali e umane. Non sono rari i casi in cui nascono relazioni molto forti, durature nel tempo, fondate su stima, amicizia e, a volte, addirittura su amori e nuove famiglie.
Purtroppo gli accordi di Oslo, che condussero di lì a poco all’incontro di Washington, immortalato dalla famosa foto della stretta di mano tra Rabin e Arafat tra le braccia di Clinton, non produssero gli effetti sperati. Ben presto grazie a quelli che erano considerati i punti “in sospeso” dell’intesa (gli insediamenti israeliani nei territori, la gestione di Gaza e Gerusalemme, la reale indipendenza dello Stato Palestinese) fu consentito ai nemici interni ed esterni di vanificarne ogni possibilità di successo.
Dopo ben 28 anni La ragazza di Oslo – serie tv norvegese prodotta da Netflix e disponibile dal 19 dicembre scorso – racconta una storia personale e familiare che coinvolge proprio alcuni protagonisti di quei negoziati. La ragazza è Pia, una giovane inquieta e ribelle, figlia di Karl, un importante avvocato, e di Alex, che nel ’93 faceva parte della delegazione norvegese. Pia sa di essere nata dalla relazione della madre con Arik, un fascinoso uomo israeliano conosciuto e amato durante quelle settimane, e decide, all’insaputa di tutti, di andarlo a cercare.
Ma appena arrivata a Tel Aviv Pia fa amicizia con un gruppo di ragazzi del posto che le propongono una gita al mare nel Sinai. Una zona pericolosa, che ricade in territorio egiziano e dove agiscono gruppi terroristici dell’Isis. Pia chiede al telefono consiglio a Layla, una vecchia amica palestinese della madre che ha partecipato anche lei ai negoziati e che vive a Gaza. La donna la rassicura. Ma i ragazzi vengono ugualmente rapiti e la presenza di un ostaggio norvegese è utilizzato dall’Isis per richiedere la liberazione di un proprio esponente in carcere a Oslo.
Alex si precipita a Tel Aviv per cercare di liberare la figlia e inevitabilmente chiede aiuto ad Arik, che è diventato nel frattempo il potente ministro della Sicurezza, e Layla, che è invece in disgrazia, vedova di un capo di Hamas ucciso dagli israeliani, e che vive da sola ai margini del movimento per colpa del figlio Yusuf, che vorrebbe a ogni costo vendicare il padre. Così i tre vecchi amici si ritrovano a ritessere sulla loro vecchia relazione una nuova trama tra ricatti, rivelazioni e trattative segrete per salvare i ragazzi.
La serie ha avuto successo e probabilmente avrà un seguito, anche per il finale che lascia presagire nuovi e diversi sviluppi della vicenda. I due creatori, il norvegese Kyrre Holm Johannessen e l’israeliana Ronit Weiss-Berkowitz, hanno dato alla storia, sempre a cavallo tra realtà e finzione, senso logico e molte emozioni. Anche grazie alle ottime interpretazioni degli attori principali, in particolare quella di Anneke von der Lippe, la prima artista norvegese ad aggiudicarsi un Emmy, nei panni di Alex. Molto bravi anche i due attori israeliani Amos Tamam, nei panni di Arik, e Raida Adon, nel ruolo di Layla. Menzione finale per la giovane attrice norvegese Andrea Berntzen che interpreta Pia, prelevata direttamente dal teatro scolastico di Oslo.
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