Nel suo ultimo libro Marcello Foa vede nel ricatto la modalità che regola le relazioni personali, economiche e politiche. Spiegando così anche dazi e guerre
Il libro si intitola La società del ricatto (Guerini e Associati, 2025) e offre una chiave di lettura ben precisa per spiegare i rapporti personali, lavorativi, politici che fanno parte del nostro modo di vivere oggi. Marcello Foa, giornalista e docente universitario, già presidente Rai e conduttore di “Giù la maschera” su Rai Radio1, nel suo ultimo volume individua, infatti, il ricatto come approccio comune a tutti gli aspetti della nostra esistenza: nelle relazioni familiari, nelle dinamiche che si sviluppano sul posto di lavoro, nella gestione dei rapporti internazionali.
Tanto da essere all’origine di situazioni di guerra, come quella in Ucraina. Una chiave di lettura che ha portato Trump a cercare di annullare certi meccanismi deleteri del pensiero globale, salvo poi riproporre lo stesso atteggiamento ricattatorio attraverso i dazi.
Da dove è nata l’idea del ricatto come parola chiave per comprendere, a livello geopolitico e personale, i rapporti tra le persone?
È nata dall’osservazione. Andando a cena con amici che svolgono diverse professioni, dallo psicologo al manager, all’esperto di risorse umane, all’imprenditore eccetera, mi sono reso conto che la lamentela sul sentirsi sotto ricatto era abbastanza diffusa. Dopodiché, ripensando anche a miei precedenti lavori, come Il sistema invisibile, mi sono reso conto che si fa ricorso al ricatto anche come strumento di governo.
È un metodo così diffuso per “regolare” i rapporti?
Se prendiamo il mondo del lavoro, il fatto che ci sia un capo di azienda o di reparto che emargina chi è più bravo per timore che faccia ombra a chi comanda, oppure che ci sia una bassa produttività per cui chi brilla troppo viene richiamato all’ordine, riporta a situazioni molto diffuse, che però non vengono mai interpretate in un’ottica di ricatto.
Una modalità per relazionarsi che non è estranea ai rapporti familiari o di coppia: un aspetto che dimostra quanto il ricatto sia radicato nel nostro modo di fare?
Due psicologhe molto brave, Barbara Castiglione e Sarah Viola, mi hanno spiegato che molti dei problemi psicologici che siamo chiamati a risolvere hanno origine in situazioni di ricatto emotivo. Una conferma di come la tendenza al ricatto sia così diffusa da intaccare quello che dovrebbe essere il nostro bene più prezioso: le nostre relazioni familiari e sentimentali. Il ricatto, non per tutti naturalmente, è diventato una modalità anche di educazione: certe dinamiche che riproduciamo nella nostra vita, in realtà le abbiamo vissute fin da piccoli all’interno delle nostre famiglie.
Si parte da questo? Tra genitori e figli spesso si ricorre al ricatto reciproco?
Il figlio che dice ai genitori “Mi dai una paghetta più alta oppure non torno più” usa il ricatto. E il genitore che dice “Se te ne vai, morirò di crepacuore” fa lo stesso. E lo stesso succede nei litigi tra marito e moglie, rinfacciandosi qualcosa. Esempi semplici, di vita vissuta, che provocano tensioni, dolore, situazioni basate sul ricatto, che, quando sono reiterate, diventano un elemento inibitorio molto forte. Un argomento del quale non si parla molto neanche nei media, forse perché la gente non vuole sentirselo dire, non vuole prenderne coscienza. Eppure parliamo di circostanze fonte di infelicità e grandi problemi, che potrebbero essere circoscritti se si creasse una consapevolezza, se ci fosse una riflessione a livello pubblico.
Il ricatto diventa una chiave di lettura anche della politica e della geopolitica?
Il ricatto ha segnato la nostra storia. L’esempio più clamoroso resta quello di Silvio Berlusconi nel 2011, costretto a lasciare Palazzo Chigi nonostante beneficiasse di una maggioranza piuttosto solida. Fondamentalmente fu messo sotto ricatto dalla Banca Centrale Europea, che gli mandò una lettera a doppia firma del governatore uscente Jean-Claude Trichet e di quello entrante Mario Draghi, che gli intimava di adottare un certo numero di riforme, altrimenti l’Italia sarebbe stata abbandonata a se stessa. Berlusconi assecondò molte delle richieste, ma era evidente che l’obiettivo fosse un altro: toglierlo da Palazzo Chigi. Sarkozy e la Merkel spinsero in questa direzione e il presidente Napolitano fece da sponda italiana. Berlusconi mollò. L’ultima forma di pressione fu far crollare il titolo Mediaset del 12%.
In quali altre forme si esercita il ricatto politico?
Si ricorre alla ricerca di scandali privati o di interessi professionali, in modo tale che qualunque leader politico abbia qualcosa di cui vergognarsi. Penso a Piero Marrazzo, il quale era governatore del Lazio e fu oggetto di una trappola fondamentalmente ordita da carabinieri infedeli. Lui non cedette al ricatto e la sua carriera finì nel fango, sebbene fosse un ottimo governatore. Una persona può avere la sua vita privata e i suoi comportamenti, ma se è un governatore o un politico non deve essere giudicato per questi comportamenti.
Se arriviamo a tempi più recenti, Trump ha messo in evidenza certe dinamiche della globalizzazione. Con i dazi, tuttavia, ha utilizzato un’altra forma di ricatto?
Trump è entrato in una nuova fase e a sua volta usa il ricatto. Prima, come ho spiegato ne Il sistema invisibile, il ricatto veniva usato in maniera non dichiarata, invasiva: c’erano dinamiche, riforme, processi che gli Stati erano costretti a seguire, togliendo loro il potere reale. Un sistema subdolo, che ha causato una reazione da parte dei cittadini, espressa attraverso i risultati delle nuove elezioni. Trump non ama la globalizzazione come progetto economico, sociale e culturale, ma ricorre al ricatto nella forma tipica di un uomo d’affari newyorkese che ha fatto carriera nell’immobiliare. Un ricatto duro, dalle finalità negoziali.
Possiamo usare lo stesso metro di giudizio per comprendere anche situazioni di guerra come quelle in Ucraina?
Dietro queste grandi crisi ci sono logiche fondamentalmente ricattatorie. Il nostro rapporto con la Russia è stato impostato molto male negli ultimi vent’anni. E lo paghiamo caro. L’Occidente ha sbagliato i calcoli, spingendo alla crisi estrema con l’Ucraina e mandando all’aria i negoziati di Minsk. Pensava che si potesse mettere la Russia con le spalle al muro, costringendo Putin ad andarsene. Le cose non sono andate come auspicavano i neoconservatori americani. Oggi la Russia sta vincendo la guerra e l’Occidente ha sprecato risorse economiche e strategiche per un braccio di ferro di cui l’Ucraina paga il prezzo.
Anche le sanzioni possono essere viste sotto questa luce?
Sono anch’esse fondamentalmente una forma di ricatto: o si cede o si viene presi per soffocamento. Hanno funzionato con Paesi piccoli, ma non con quelli grandi come la Russia, che contano sull’appoggio di Cina, India, Turchia e altri Paesi che non vogliono trovarsi un domani nelle stesse condizioni di Mosca. Paghiamo il prezzo di una politica, in primis americana, condotta in maniera scriteriata, che non punta a creare un mondo più armonioso e collaborativo.
Nel libro si fa un’analisi delle dinamiche della nostra economia, a partire da Einaudi. Il ricatto l’ha fatta da padrone anche qui?
Einaudi giudicava negativi i monopoli, privati o pubblici. Un tempo c’era un attaccamento delle aziende al territorio: l’imprenditore contava molto sulla stima e il riconoscimento della gente. Oggi tutto è stato azzerato. Le PMI devono sottostare alla legge del più forte, venendo costrette a vendere o a chiudere. I giovani neolaureati assunti dalle grandi società di consulting ottengono retribuzioni inadeguate, nonostante master alla Bocconi o in università importanti. Accade quando c’è una degenerazione di valori e regole che il capitalismo dovrebbe utilizzare come veicolo di ricchezza diffusa. Invece prevale il globalismo senza limiti e contrappesi, che porta a profonde ingiustizie: in Italia, crescita e salari sono fermi da tempo, il ceto medio si impoverisce e si va verso una società neofeudale, con poche persone ultraricche e una massa più ampia che, se va bene, galleggia sopra il livello di povertà.
(Paolo Rossetti)
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