L’equilibrio tra vita da imprenditore e attenzione al no-profit, il cambio culturale che serve al Paese, le iniziative in corso e l’impatto sociale positivo che le aziende possono generare al di fuori del loro ecosistema. Ne abbiamo parlato con l’imprenditore bolognese Davide Malaguti che, oltre a essere a capo dell’azienda leader in Italia nel campo della finanza agevolata, Golden Group, e di altre sette imprese, dedica tempo ed energie a numerosi progetti in ambito sociale, dando un contributo reale al benessere dei più svantaggiati.
Presidente Malaguti, lei ha una brillante carriera e diverse aziende che, sotto la sua direzione, hanno raggiunto importanti traguardi. Come si concilia la sua vita da imprenditore con l’attenzione al settore no-profit?
Vengo da una famiglia umile, dove di soldi non ce ne erano molti e si arrivava a far quadrare i conti a fine mese con grande fatica. Dopo tanto studio, molta determinazione e un bel bagno di umiltà sono riuscito, anche grazie alle persone che lavorano con me, a raggiungere importanti obiettivi che mi hanno permesso di condurre una vita sicuramente agiata. Nella mia testa, in questi anni, c’è stato uno switch, un cambiamento di prospettiva: ho cominciato a pensare cosa potessi fare affinché altre persone, che non hanno la fortuna di avere quello che ho io, potessero vivere meglio.
Così ha deciso di dedicare il suo tempo anche a questo tipo di attività?
Sì, ma ci tengo a precisare un aspetto: quando parliamo di attenzione a chi è in una situazione peggiore della nostra, non dobbiamo commettere l’errore di pensare che per aiutarlo sia necessario solo ed esclusivamente donare soldi. Nella vita abbiamo la fortuna di poter condividere anche il tempo, e questo sì che è una risorsa preziosa. Cerco di insegnare questo ai miei figli ogni giorno.
Nei giorni scorsi ha annunciato tramite le sue pagine social di voler donare a 3 famiglie un buono spesa da 5.000 euro ciascuno. Quando le è venuta l’idea di offrire un contributo alle famiglie più bisognose?
È una decisione che ho maturato durante una gara di triathlon, la Ironman, che si è svolta a Barcellona all’inizio di ottobre. La gara è durissima perché prevede 3,8 chilometri a nuoto, 180 in bici e, infine, 42 chilometri di corsa. Una maratona che io non ho interpretato come una sfida, ma come un momento per condividere del tempo con le persone a cui tengo e con me stesso. La tentazione di mollare, a causa della fatica, è stata molta. Ma per convincermi a continuare mi sono dato un obiettivo: se non fossi arrivato alla fine avrei fatto una donazione a una famiglia bisognosa. Se avessi tagliato il traguardo, invece, le donazioni sarebbero state tre da 5.000 euro ciascuna.
Lei, quindi, è anche un atleta. Che legame c’è, a suo avviso, tra sport e vita da imprenditore?
Pur non essendo un professionista, ho capito che la disciplina è il comun denominatore. Puoi essere talentuoso, è vero, ma la differenza sta proprio nell’avere un programma e rimanere fedele a quello, seguendolo con determinazione.
Ci sono nuove iniziative o progetti in ambito sociale che state pianificando per il futuro?
Ne abbiamo diversi. Nella nostra azienda, ad esempio, per ogni nuova nascita diamo un bonus da mille euro, oltre a un contributo annuale di 400 euro per ciascun figlio, fino al raggiungimento del diciottesimo anno di età. Le mie aziende sono un microcosmo all’interno del quale voglio fare in modo che le persone beneficino dei ragionamenti che io faccio in primis con la mia famiglia. Da ragazzino ho sempre voluto cambiare il mondo. Un’impresa molto, molto impegnativa. Allora ho deciso di cominciare dal mio di mondo, quello che ho vicino.
In che modo, secondo lei, il sistema imprenditoriale italiano può effettivamente fornire un impatto sociale positivo?
“Potrebbe” è la parola giusta. Nonostante ci siano molti imprenditori che dedicano parte del loro tempo a questo tipo di attività, in Italia, purtroppo, questa cultura non è diffusa. In parte perché le imprese floride sono una minoranza oppure fanno una gran fatica in termini di pressioni fiscali e burocrazia.
Guardare all’attività economica come a un’opportunità per diffondere valore sociale è una visione che richiede di concepire il denaro come un mezzo, uno strumento di scambio, e non più come il fine ultimo per rimanere competitivi sul mercato. Secondo lei, questo cambio di rotta potrà configurarsi in futuro come una tendenza per un numero sempre più ampio di imprese?
Assolutamente sì, e lo spiega benissimo uno psicologo che si chiamava Abraham Maslow, secondo cui se una persona è impegnata a soddisfare i propri bisogni fisiologici o di vita difficilmente riuscirà a entrare in queste dinamiche. Più si sale nella scala della soddisfazione dei bisogni, più la persona riesce a dedicare una parte del suo tempo o delle sue risorse a un benessere più diffuso. Oggi sono molti gli imprenditori che, raggiunti i massimi livelli di carriera, non lavorano più per il denaro, ma per il benessere delle persone che li circondano. Questo è anche il mio obiettivo.
Il benessere della società nel suo complesso è un processo che è sempre più al centro delle scelte aziendali: ci può portare un esempio di come questo avviene nelle aziende sotto la sua direzione?
Certo. Noi, ad esempio, abbiamo adottato lo smart working molto prima del Covid, da quindici anni. Il work life balance, ossia garantire un bilanciamento tra lavoro e vita privata, diventa sempre più centrale. Ed è anche corretto secondo me. La produttività, che noi misuriamo costantemente, non cala, anzi aumenta. Il mondo è cambiato e ci dobbiamo adeguare. Anche questa è una questione di cambiamento culturale all’interno dell’azienda.
Qual è il consiglio che sente di dare a un giovane che si approccia al mondo imprenditoriale?
Due consigli sono fondamentali per chi vuole fare questo mestiere. Il primo è non aver paura di sbagliare. Si sbaglierà, senza dubbio, ma si deve imparare la lezione che deriva da quell’errore. Il secondo, sempre collegato al primo, è non aver timore di rischiare. Sono questi, a mio avviso, i due ingredienti di successo per gli imprenditori e per le imprenditrici.
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