Ad aprire la Festa del Cinema di Roma nella sua edizione numero 20 è stato scelto il film di Riccardo Milano "La vita va così"

Designato dalla direttrice artistica Paola Malanga come film d’apertura della 20a Festa del Cinema di Roma, La vita va così fa parte di quella schiera di commedie civili, non impegnate in senso stretto ma legate a temi di attualità e politica, con cui il cinema nostrano vuole riconnettersi col passato glorioso della commedia all’italiana.



Diretto da Riccardo Milani, tra i maggiori realizzatori di questo tipo di cinema (Un mondo a parte, Come un gatto in tangenziale), il film La vita va così racconta la storia ispirata a un fatto di cronaca, di un pastore sardo (Giuseppe Ignazio Loi) che rifiuta di vendere la propria terra e la casa che vi ha costruito, a una grande azienda immobiliare milanese, guidata da Diego Abatantuono, che vuole costruire nell’area un resort 5 stelle.



La battaglia prima economica, poi sociale e culturale, durerà una decina d’anni, dalla fine del 1999 fino agli albori degli anni ’10 ed Efisio la combatterà con accanto la figlia Francesca (Virginia Raffaele), quasi testarda come il padre.

Milani assieme a Michele Astori scrive una di quelle battaglie tra opposti che tanto piace, comprensibilmente, al cinema popolare italiano: come dice anche lo stesso Abatantuono, “agli italiani piace l’eroe in cui identificarsi, ma che nessuno imita”.

E così, Nord contro Sud, o meglio continente contro isole, ricchezza contro povertà, tradizione contro innovazione, città contro campagne, capitalismo contro comunità e via di dualismi assortiti sui quali costruire gag e riflessioni. Questi ultimi due termini però non si amalgamano.



Una scena del film

La vita va così soffre innanzitutto di un pesante squilibrio tra le sue due metà, frettolosa e superficiale la prima, volta solo a illustrare la trama sprecando le varie occasioni di dare corpo o vivacità a un racconto dove sei anni trascorrono come fossero sei settimane, in cui le cose accadono senza respiro, come se ci fossero state troppe riscritture o rimontaggi; pedante la seconda in cui i temi diventano alti, il ritmo si immobilizza e si arriva al finale con lunghi monologhi che spiegano il senso del film, quel senso che le immagini non sono riuscite a trasmettere prima.

Non è tanto il senso finale di La vita va così a deludere, quanto la constatazione che è un film che vuole essere politico ma dal quale si è espunta la politica, la lotta si riduce involontariamente a posizioni ideologiche che non dicono nulla del Paese, di come si evolve, di cosa significhi davvero lottare per difendere i territori e le tradizioni. A Milani bastano due frasi in chiusura per dirsi soddisfatto; a chi guarda, forse, no.

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