LA CONFERENZA STAMPA DEL SEGRETARIO LANDINI DOPO IL FLOP AI REFERENDUM 2025
Dimissioni? Neanche per sogno. Maurizio Landini è netto nella conferenza stampa convocata pochi minuti dopo la certezza dei risultati finali dei Referendum 2025 con il flop pesante per il quorum che resta ampiamente disatteso con un’affluenza che raggiunge a malapena il 30,5% degli aventi diritto di voto in tutto il Paese. Per il segretario generale CGIL non arriverà nessun passo indietro dalla carica che ricopre ormai dal 2019 (riconfermato poi nel 2023), pur ammettendo la netta sconfitta patita alle urne.
«Non ci penso neanche lontanamente a dimettermi», ha detto Landini parlando coi giornalisti dal comitato centrale per i Sì al Referendum 2025: oltre al dato importante dei No espressi sul quesito della cittadinanza, il leader della CGIL non intende “accettare” gli “inviti” giunti da destra e in parte anche dal Centrosinistra, con gli attacchi di Calenda e Renzi contro l’ideologia sottesa ai referendum, «in Cgil è sempre una discussione collettiva».

Piuttosto, la netta sconfitta per non aver raggiunto il quorum fa riflettere su cosa deve ancora fare la sinistra su lavoro e cittadinanza, anche se non mette minimamente in discussione l’origine e le modalità dei quesiti: «C’è un evidente crisi della democrazia e della partecipazione. Estendere la tutela del lavoro e della democrazia sono lo stesso problema», sottolinea Landini che non mette così in discussione le motivazioni con cui sono stati creati e proposti tali Referendum.
L’ALL-IN DI LANDINI E COSA RISCHIA ORA CON IL “FLOP” DEI REFERENDUM 2025
Nel suo ultimo appello al voto prima dei Referendum 2025 Maurizio Landini, segretario generale CGIL, era stato nettissimo: «Il referendum ha ridato senso alla democrazia e alla partecipazione, l’obiettivo del quorum è possibile». Una sorta di “all-in” pokeristico, questa la mossa di Landini nel farsi promotore (assieme alla leader Pd Elly Schlein, ndr) dei 5 quesiti referendari su materia di Lavoro (Referendum n.1, 2, 3, 4) e Cittadinanza (il quesito n.5). Non è bastato, e anzi, il non superamento del quorum resosi palese dopo la chiusura delle urne con i risultati sull’affluenza di poco sopra il 30%, rischia di rimanere un macigno politico e sindacale per il responsabile nazionale della CGIL.
Ha convinto il Pd a votare contro la legge approvata dalla maggioranza Dem nel Governo Renzi – il Jobs Act -, ha chiamato a raccolta il “campo largo progressista” (anche se è andato in forte ordine sparso secondo i vari componenti) e ha sfidato apertamente non solo l’esecutivo Meloni ma anche la stessa “Triplice” sindacale, con UIL che ha lasciato libertà di voto e CISL che ha invece appoggiato l’astensione. In tutto questo Landini potrebbe anche rischiare le dimissioni da segretario CGIL qualora il grosso peso politico che lui stesso aveva “investito” nei Referendum dell’8-9 giugno 2025 possa in qualche modo ritorcergli contro nella delusione interna al sindacato “rosso”.

L’ex leader FIOM non ha mai detto che in caso di quorum non raggiunto sarebbero arrivate le dimissioni, ma è altrettanto ero che da mesi Landini ha visto nei 5 quesiti una forte ragione di vita politica tanto da provare a “federare” la sinistra attorno a questi Referendum, proponendosi indirettamente come potenziale prossimo federatore di un campo largo progressista ancora tutto da fortificare.
DA “FEDERATORE” A “DIMISSIONARIO”? IL POSSIBILE FUTURO DEL LEADER CGIL (CON LA VIA D’USCITA…)
Anche per questo davanti ai risultati deludenti per il mancato quorum nei Referendum contro il Jobs Act e a favore di una nuova riforma sulla Cittadinanza, Maurizio Landini ha davanti un futuro tutt’altro che delineato: dalle dimissioni immediate alla convocazione di un Congresso del sindacato CGIL, fino alla possibile via d’uscita con la rivendicazione di un grande risultato democratico, non sufficiente per “colpa delle divisioni a sinistra”.
Un Landini dimissionario potrebbe comunque maturare la convinzione del “salto” verso la politica, ma potrebbe avvenire anche in maniera meno “traumatica” rimanendo alla guida della CGIL fino a scadenza mandato, spingendo però per mettere in luce il “popolo dei referendum” come il potenziale bacino elettorale della sinistra da cui ripartire. Sarebbe l’ennesima “strumentalizzazione” politica del voto referendario che da sinistra a destra ha spesso contaminato la vita repubblicana fin dai primi Referendum abrogativi, ergo non sarebbe una novità e tutto sommato è del tutto legittima come opzione giocata da Landini tra i possibili scenari post-voto.

Resta un mondo progressista che a sinistra inizia già a delirare le prime polemiche e rivendicazioni contro chi non ha sostenuto i Sì compatti alle urne (dai centristi Renzi e Calenda fino all’ala riformista del Pd): al momento l’asse Landini-Schlein è destinato a tenere, ma le conseguenze e gli esiti dei risultati elettorali potrebbero portare a imprevedibili futuri nel breve termine destinati a modificare – se non proprio sconvolgere – la prospettiva di una sinistra chiamata entro 2 anni a presentare un’alternativa spendibile contro il Centrodestra a guida Meloni.