Dal Rapporto AlmaLaurea arrivano dati interessanti sugli sbocchi occupazionali dei giovani laureati italiani
Sempre più studi, come il rapporto AlmaLaurea 2025 pubblicato solo pochi giorni fa, indagano il tema del disallineamento tra formazione universitaria e mercato del lavoro. Un fenomeno, questo, particolarmente complesso e che interessa molteplici variabili: dalla domanda e offerta di lavoro all’origine sociale dei laureati, al genere, fino alle scelte operate dagli stessi laureati.
Con riferimento, ad esempio, ai disallineamenti nell’utilizzo, nel lavoro svolto, delle competenze acquisite all’università, i recenti dati di AlmaLaurea evidenziano come tra gli occupati a un anno dal conseguimento del titolo oltre il 30% non utilizza in misura elevata le competenze acquisite all’università e svolge un lavoro per cui il titolo di laurea non è formalmente richiesto: è il 39,3% tra i laureati di primo livello e il 31,9% tra quelli di secondo livello. A cinque anni dal conseguimento del titolo la consistenza del fenomeno di disallineamento diminuisce, ma continua a coinvolgere almeno un quarto degli occupati: 32,5% tra i laureati di primo livello e 25,4% tra quelli di secondo livello.
Una dinamica che è particolarmente significativa, ovviamente, per i gruppi disciplinari tradizionalmente considerati “deboli” come il letterario-umanistico, arte e design, linguistico, politico-sociale e comunicazione, psicologico ed economico.
Rispetto al genere poi, le donne svolgono in misura relativamente maggiore lavori per cui è richiesto formalmente il titolo di laurea ma nei quali non si fa un utilizzo elevato delle competenze acquisite durante gli studi.
Fattore di rischio è, anche, l’origine sociale dei laureati. I figli di genitori laureati sono, di solito, meno soggetti a questo tipo fenomeno. Rileva, inoltre, la motivazione alla base della scelta del percorso di studio per cui l’assenza di una precisa, e reale, motivazione, culturale o professionalizzante, espone maggiormente al rischio di disallineamento.
I giovani laureati di oggi si dichiarano, è un dato interessante, sempre meno disposti ad accettare lavori non coerenti con il titolo di studio acquisito. Rispetto al 2016 si evidenzia un calo di oltre 9 punti percentuali della quota di chi accetterebbe incondizionatamente un lavoro non coerente con gli studi quale che sia.
La sensazione, insomma, è che molte preziose risorse, e talenti, vadano dispersi. Sicuramente molto si deve fare per orientare i ragazzi a fare le scelte “giuste”. Allo stesso tempo è necessario che gli atenei ripensino la propria offerta formativa legandola, sempre più, anche alle reali necessità del mercato del lavoro.
Viene, tuttavia, da chiedersi come mai il nostro tessuto produttivo abbia difficoltà ad assorbire persone “troppo” qualificate. Una domanda ancora più cruciale se solamente si pensa alle trasformazioni storiche che le nostre comunità stanno attraversando in questi anni.
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