L’articolo di Bonanni evidenzia il tentativo da più parti invocato di superare contrapposizioni sterili tra i soggetti portatori di interessi collettivi, un tentativo che sembra condiviso, almeno dalle prime dichiarazioni, in tema di fiscalità, mercato del lavoro, pensioni, dai rappresentanti del nuovo governo, cosi come da parte significativa dell’opposizione. Ovviamente è ancora difficile esprimersi nel merito, ma almeno l’atteggiamento sembra cambiato rispetto al recente passato.
Bonanni è credibile quando sostiene la bontà di questa strada perché proprio la Cisl, e in tempi non sospetti, ha provato a muoversi in questa direzione. Sul merito delle proposte l’enfasi è posta sull’emergenza salariale e anche qui la scelta di affermare con più decisione il legame tra retribuzione e produttività è essenziale, non si può distribuire ricchezza se non la si riproduce. Sulla doppia contrattazione centrale e decentrata occorre avere il coraggio di andare sino in fondo e cioè di rendere possibile realmente una differenziazione dei salari che tenga conto della diversità dei mercati del lavoro, sia dal punto di visto dei settori, sia da quello dei territori. In tale direzione pur essendo possibile pensare a una semplificazione del numero dei contratti, occorre contemporaneamente arricchire le tipologie contrattuali in modo da rispondere e normare una pluralità di interventi che in caso contrario resterebbero o tornerebbero a far parte del tanto deprecato lavoro nero.
Si deve poi avere il coraggio di non considerare il lavoro non a tempo indeterminato come lavoro precario, tutti i paesi che hanno fatto uso di contratti dotati di un certo livello di flessibilità, come ad esempio i contratti a termine o il cosiddetto lavoro interinale, hanno aumentato proprio quello che Bonanni auspica, cioè il tasso di occupazione, riducendo drasticamente il tempo medio di attesa per entrare (o rientrare) sul mercato del lavoro dei giovani o delle donne. Inoltre molti di questi contratti si trasformano, come ormai diverse fonti statistiche mostrano, in contratti a tempo indeterminato.
Ciò detto permane il problema delle certezze e della continuità lavorativa del singolo, ma per affrontarlo si deve avere il coraggio di andare oltre il tema salariale e le tipologie contrattuali. È ormai evidente che senza un adeguato livello di servizi alla persona e al lavoro si rischia di restare in un circolo chiuso. Sarà uno dei compiti prioritari del nuovo governo quello di mettere in agenda la ripresa del dibattito su questo tema; servizi che partano dalla centralità della persona, che tengano conto delle situazioni familiari e che siano strutturati secondo il principio di sussidiarietà, che attribuisce alla libertà di scelta del cittadino e alla sua capacità di organizzarsi in comunità un ruolo centrale. Un tentativo che il neo ministro Sacconi ben conosce, avendolo affrontato nel periodo del lavoro che ha preceduto la legge Biagi e che certamente saprà riprendere e rendere operativo; in questo magari guardando a quei tentativi come la “dote lombarda” che già stanno innovando profondamente il mercato del lavoro.
Infine un accenno alla sicurezza che chiama in causa l’operatore pubblico; giocare al ribasso è una scelta sbagliata come dice Bonanni, ma il primo a favorire una cultura diversa deve essere l’operatore pubblico. La cultura del risparmio legato a bandi di gara al massimo ribasso che vengono assegnati a un prezzo inferiore ai minimi tabellari dei contratti collettivi di lavoro di riferimento è un incitamento a non porre in essere misure per la sicurezza o a rifugiarsi nel lavoro nero. Pare che ripartano le opere infrastrutturali, l’operatore pubblico non se ne dimentichi, se no il suo sarà il pianto del coccodrillo davanti ad ogni tragedia, che nasconde una triste e colpevole connivenza.