1. Introduzione. Obiettivi e contesto del Libro Bianco
Il Libro Bianco sul Welfare, di recente presentato dal Governo, si pone l’ambizioso obiettivo di identificare i principi cui ispirare una riforma del settore che appare, oramai, ineludibile. La necessità di una tale riforma non è una notizia: già nel 1997 la Commissione Onofri ne aveva non solo ravvisato l’urgenza, ma anche indicato possibili strumenti operativi. Da allora, per la verità, non sono stati compiuti passi in avanti molto rilevanti, se si escludono le nuove norme sul mercato del lavoro, ispirate da Marco Biagi, e qualche tentativo di riformare il sistema previdenziale.
Occorre tuttavia porsi una domanda: quali sono le problematiche in essere, tali da giustificare ancora oggi una nuova attenzione alla riforma del welfare? Le ragioni principali sono così note da essere divenute, oramai, quasi luoghi comuni: le esigenze di contenimento della spesa pubblica, l’invecchiamento della popolazione, la necessità di un più ampio coinvolgimento delle donne nel mercato del lavoro, ecc. Il primo capitolo del Libro Bianco elenca queste motivazioni in modo chiaro e convincente.
Ma la vera ragione per una riforma risiede nella necessità, a parere del Governo, di non considerare più il cittadino (ed in particolare, il cittadino bisognoso) come un soggetto “passivo”, cui erogare servizi o sussidi, ma come una persona attiva nella ricerca del proprio benessere, anche co-adiuvato in questo dagli ambiti a lui più vicini, secondo il principio di sussidiarietà (es., in primo luogo la famiglia, i corpi intermedi, ecc.). Per questa ragione, il Libro Bianco s’intitola “La vita buona nella società attiva”; e sempre per questa ragione il prof. Antonini, qualche tempo fa proprio su ilsussidiario.net, elogiava questa scelta di motivazione come una “rivoluzione” nel ripensare i servizi di welfare. Nel concordare con questa visione, vorrei però evidenziare, con qualche breve spunto, alcuni fattori del problema che, a mio parere, rimangono tuttora aperti.
2. Alcuni nodi irrisolti
Non vale la pena soffermarsi sulla polemica legata agli scarsi contenuti operativi del Libro Bianco, che è stato presentato come documento di principi; di converso, esso va interpretato come tale e dunque non appare utile, in questa fase, come “strumento” per la definizione di politiche immediate di riforma del settore – preme tuttavia rilevare come, nel contesto attuale, questo sia un evidente limite del Libro, da cui ci si aspettava invece una “agenda” per le politiche nel settore nei prossimi mesi/anni. Nel seguito, cerco invece di entrare nel merito di tre aspetti (trascurando, però, le implicazioni su politiche del lavoro e previdenza, che non sono il focus dell’attenzione di questa riflessione).
2.a. Quale assetto organizzativo del settore welfare?
In primo luogo, non si evince dal Libro Bianco quale assetto organizzativo s’intenda applicare, nel prossimo futuro, ai servizi di welfare. In particolare, una criticità richiamata da diversi osservatori consiste nell’attuale monopolio del settore pubblico nel settore welfare: molto spesso, gli enti pubblici non si limitano a erogare sussidi ai cittadini bisognosi (es., sussidi di disoccupazione, contributi per le giovani madri, ecc.) ma svolgono direttamente le funzioni di “produttori” dei servizi di welfare (es., servizi di trasporto per i disabili, gestione dei centri per l’impiego, scuole materne comunali, gestione pubblica dell’edilizia popolare, ecc.), spesso in regime di monopolio de facto – nel senso che la spesa pubblica nel settore è utilizzata solo per la fruizione dei servizi forniti dalle amministrazioni pubbliche. Tale monopolio appare non più sopportabile non solo per ragioni legate alla necessità di contenere la spesa pubblica, e non solo per una spesso manifesta inefficienza dei servizi pubblici; alla radice della necessità di “liberalizzare” il settore vi è invece la crescente diversificazione dei bisogni degli individui, e la loro volontà di trovare soluzioni “personalizzate” ai propri bisogni – e non la tradizionale soluzione “standardizzata” tipica di un sistema assistenzialistico offerta dal nostro sistema pubblico.
Se il principio della valorizzazione della libertà di scelta della persona, come detto, è spesso richiamata nel testo del Libro Bianco, e altrettanto avviene per quello che riguarda la necessità di un passo indietro dello Stato nella gestione dei servizi stessi, alcuni spunti dello stesso Libro Bianco rimangono ambigui: ad esempio, quando si afferma che “(…) Proteggere e dare sicurezze significa (…) organizzare prestazioni di beni e servizi e non solo erogazioni monetarie” (p. 31). Su questo tema occorre tentare di esemplificare, avviando qualche riforma di tipo settoriale, per sciogliere definitivamente l’ambiguità e mostrare, in modo univoco, quale sia l’assetto organizzativo e gestionale che si predilige. Si pensi, ad esempio, alla riforma degli interventi a sostegno della disabilità. Come si traduce in concreto lo spirito enunciato dal Libro Bianco? Attraverso l’abolizione dei sussidi a favore delle persone disabili, con la predisposizione di servizi a essi dedicati? Attraverso la creazione di voucher spendibili presso strutture pubbliche e private? Attraverso il mantenimento dei sussidi, accompagnati però da un mix di servizi fruibili dalle persone che lo ricevono? E in questo caso, quali risorse devono far fronte a tali ampliamenti del servizio: solo risorse pubbliche, o è possibile pensare a forme di compartecipazione ai costi dei servizi, anche intermedie/graduali? E quale ruolo dovrebbero avere le realtà del terzo settore che operano in questo campo: solamente integrativo rispetto a (eventuali) strutture pubbliche, oppure dovrebbero entrare a far parte di un unico insieme di soggetti accreditati?
Le risposte a queste domande non sono solamente la declinazione operativa di un principio (quello della libertà di scelta) che s’intende affermare, ma contribuiscono a definire i contorni stessi del principio: non tutte le potenziali risposte, infatti, contengono in sé la medesima idea di libertà di scelta. È importante rimarcare come fornire qualche indicazione su questo punto non abbia a che fare solo con l’annosa questione del rapporto tra pubblico e privato nel welfare, ma significa invece declinare in modo chiaro come s’intenda mettere al centro del sistema la persona – e non le organizzazioni (pubbliche e/o private) che offrono i servizi ed i sussidi.
2.b. Una realtà in movimento
Un secondo punto di non chiarezza, nell’ambito del Libro Bianco, è se vi siano degli esempi cui il Governo ritenga utile riferirsi. In questo senso, non si può non osservare come la realtà, sia in campo pubblico sia privato, sia evoluta nel tempo in modo molto significativo. Mi limito, in queste brevi note, a citare due esempi. La politica della Dote nel settore istruzione, formazione e lavoro della Regione Lombardia ha radicalmente innovato le modalità con cui offre i propri servizi ed i propri sussidi: per cui, ad esempio, le famiglie in condizione economica svantaggiata possono ricevere dei voucher da spendere per l’istruzione dei propri figli (ad es. per l’acquisto di materiale scolastico, ecc.), oppure i soggetti disoccupati, oltre ad un sussidio di disoccupazione, possono accedere ad un percorso di formazione finalizzato alla riqualificazione delle competenze ed alla facilitazione nel re-ingresso nel mondo del lavoro (c.d. politiche “attive”). Un tale modello di azione politica e amministrativa è coerente con le indicazioni del Libro Bianco? È un esempio cui rifarsi, eventualmente da sperimentare in altre regioni italiane, oppure l’idea che sta dietro al concetto di libertà di scelta del Libro Bianco è un altro? Se questa esperienza fosse, invece, coerente con i principi del Libro Bianco, forse una modalità interessante di avviare sperimentazioni potrebbe non “partire da zero”, ma ispirarsi a innovazioni già introdotte e, in qualche misura, già sperimentate. Ciò che preme sottolineare qui non è l’esempio in sé stesso (la Dote della Regione Lombardia) ma l’approccio metodologico: quello cioè di partire nella declinazione dei principi attraverso riforme che si ispirino a processi già in atto in alcune amministrazioni locali – quelle che, ovviamente, il Governo ritenesse coerente con la propria visione di riforma del welfare.
Lo stesso approccio metodologico dovrebbe valere per iniziative nate dalla società. Si pensi, in questo caso, a realtà come quella (tra tante) del Banco Alimentare che, ogni anno, assiste migliaia di persone e famiglie indigenti attraverso la consegna di generi alimentari, tramite il sostegno ad enti che operano in questo campo. Questa forma di welfare (e, ovviamente, tutte quelle analoghe) può oggi divenire non “residuale”, non “integrativa”, ma di pari dignità rispetto all’intervento pubblico tradizionale? O addirittura, l’intervento pubblico tradizionale non dovrebbe essere ripensato alla luce della presenza, effettiva, di realtà di questo tipo?
È bene ricordare, in questo contesto, che le realtà operanti nel terzo settore per il sostegno al disagio, l’assistenza, la socialità, ed anche nel campo sanitario, sono migliaia. Il consenso non solo degli assistiti, ma della collettività è assai rilevante – si vedano i dati sul 5×1000 a riprova di questa convinzione. Forse, è giunto il momento di dare a queste realtà il ruolo che meritano, e cioè non quello di “terzo” settore, ma di “primo”. Per farlo, come il Libro Bianco sembra a tratti suggerire, occorre non focalizzarsi sulla riflessione ideologica, che talvolta enfatizza il ruolo del settore non profit, o talaltra insiste nel ritenere che il settore pubblico sia più in grado di garantire equità. Occorre, invece, osservare la realtà, la quale testimonia che, in molti ambiti del welfare, i soggetti primari di assistenza sono proprio le realtà non profit. Anche in questo caso, l’ispirazione attraverso realtà già in atto potrebbe suggerire politiche e riforme coerenti con i principi enunciati dal Libro Bianco.
2.c. L’istruzione: grande assente?
Infine, il terzo punto critico riguarda la grande mancanza dell’istruzione nella discussione sul welfare (mentre, invece, qualche attenzione è posta al tema della formazione professionale). Si comprendono le ragioni tecnico/ politiche/ amministrative per cui il settore istruzione non sia incluso nella discussione del Libro Bianco (ossia, la competenza di altro ministero sulla materia); ma, francamente, l’istruzione dovrebbe forse essere lo strumento di welfare più lungimirante e più solido per il paese, soprattutto per quello che concerne la situazione socio-economico delle persone. Le politiche per l’assistenza, nel sistema di welfare odierno, dovrebbero svolgere i compiti che esse hanno in tutti i paesi moderni: sostegno al reddito nei momenti di difficoltà, affronto delle emergenze sociali legate alla povertà, all’esclusione, alla disabilità, ecc. Tuttavia, questi sono interventi per curare la malattia una volta manifestata, non per prevenirla: la strada di medio-lungo periodo per un paese che voglia migliorare la condizione socio-economica del proprio popolo è favorire lo sviluppo del capitale umano. È noto, dimostrato e ampiamente documentato come vi sia una correlazione fortissima tra istruzione degli individui e loro status socio-economico; questa relazione fa sì che la scuola italiana sia, nei fatti, un potente strumento di riproduzione dello status quo, dell’immobilismo sociale, dell’opportunità negata alle giovani generazioni. I lavori accademici che mostrano questa relazione sono oramai innumerevoli, e l’ultimo organismo internazionale in ordine di tempo a sollevare il problema è stato Eurostat non più di un mese fa.
Il settore degli interventi a sostegno degli studenti in condizioni economiche svantaggiate e delle loro famiglie, per favorire la frequenza scolastica e fronteggiare l’abbandono, sono certamente materia del Ministero dell’Istruzione – che peraltro, su questo ha di fronte la sfida di modificare in modo radicale le politiche di diritto allo studio ordinario e universitario, oggi improntate al più inefficiente e inefficace assistenzialismo, con effetti perversi sull’efficienza della spesa pubblica nel settore e sulle performance di scuole e atenei. Altrettanto certamente, però, occorre domandarsi come queste politiche s’inseriscano nelle politiche di welfare. Se è vero, com’è vero, quello che afferma il Libro Bianco, e cioè che la famiglia “è soprattutto il nucleo primario di qualunque welfare, in grado di tutelare i deboli e di scambiare protezione e cura” (p. 24) allora le politiche di sostegno all’istruzione devono essere coordinate, integrate e valorizzate nell’ambito delle politiche di welfare a sostegno della famiglia.
Un esempio può aiutare a chiarire questo punto. Oggi le prestazioni sociali a favore degli studenti in condizioni economiche svantaggiate sono definite dall’utilizzo dell’ISEE, come indicatore di condizione socio-economica della famiglia stessa. In questo indicatore, come noto, è previsto l’utilizzo di coefficienti correttivi che tengano conto del numero di figli a carico; tuttavia, nessun riferimento è fatto rispetto alla frequenza scolastica dei figli. È del tutto evidente che il coefficiente correttivo per la presenza di due figli neonati non possa essere uguale al coefficiente correttivo nel caso di due figli che frequentino la scuola secondaria o l’università, poiché i costi connessi a questa condizione sono ovviamente diversi. Ecco allora che, per disegnare in modo efficace uno strumento di diritto allo studio (es. borsa di studio, servizio di mensa, voucher, ecc.) occorre tenere conto dell’obiettivo sociale che lo strumento intende perseguire, nonché delle particolari caratteristiche dei soggetti beneficiari.
3. Considerazioni conclusive
Il Libro Bianco rappresenta uno sforzo politico/istituzionale di grande valore, che si situa nel solco di alcune esperienze internazionali di partecipazione sociale al dibattito della riforma sul welfare (Cfr. il Green Paper “No one written off: reforming welfare to reward responsibility” del governo inglese, emanato nel 2008). L’idea che la società civile possa dare un contributo al miglioramento delle politiche di welfare è ragionevole, e indica un sentiero positivo per la potenzialità di riforma del settore. Tuttavia, l’attuale formulazione del Libro Bianco, pur operando un cambio di rotta sostanziale sulla concezione del welfare, non lascia intravedere ancora una direzione chiara delle politiche per i prossimi mesi e anni; e, in tempo di crisi, lo stato di salute del sistema di welfare può invece costituire un caposaldo per restituire fiducia alle persone, specialmente quelle che incontrano difficoltà economiche o sociali più forti.
Dal punto di vista della finanza pubblica, il grande tema rimane quello della sostenibilità: da un lato, un Paese che non cresce non può permettersi spese eccessive per la tutela dei propri cittadini più deboli; dall’altro lato, i vincoli di finanza pubblica saranno probabilmente già ampiamente infranti senza avviare alcuna delle auspicabili riforme del settore, per effetto della crisi economica. Come agire, in questo scenario?
Un’idea potrebbe essere quella di riflettere sull’opportunità di liberare risorse pubbliche, mediante un “patto sociale” tra amministrazione pubblica e società, che preveda una riduzione della spesa pubblica da destinarsi al potenziamento di alcuni interventi di welfare. In fondo, la nobiltà e l’imprescindibilità dell’obiettivo potrebbe giustificare lo sforzo (da anni annunciato, ma mai realizzato). In pratica, si potrebbe tentare di ridurre la spesa pubblica mediante riduzioni del turnover, riduzione degli aumenti stipendiali, o strumenti simili, e destinare tali risparmi di spesa al finanziamento di strumenti (esistenti, o nuovi) per il welfare (es. ammortizzatori sociali, politiche “attive” di sostegno alla maternità, ecc.). Tuttavia, è contestualmente necessario definire le nuove “regole del gioco”, e cioè cosa fare di eventuali risorse aggiuntive – se continuare con sussidi e servizi gestiti in monopolio dallo Stato, o se finalmente aprire alla libertà di scelta delle persone tramite voucher, buoni servizio, ecc. Il tempo di osare, nel cambiamento del settore, è arrivato: è bene augurarsi che il Libro Bianco rappresenti un primo passo in questa direzione.