La parola ha cominciato a diventare molto famosa due anni, quando anche Obama disse che gli Stati Uniti dovevano puntare sulla green economy. Oggi si comincia anche a parlare di “colletti verdi”, ovvero di lavoratori specializzati per questo settore. In Italia, come ci spiega Emilio Luongo, responsabile della divisione green economy di Gi Group, si prevedono infatti 250.000 nuovi posti di lavoro entro il 2020. Cerchiamo di capire meglio con Luongo (autore tra l’altro del libro Green Job, in uscita nelle librerie) la realtà della green economy.
Cosa si intende esattamente con green economy? Quali settori comprende?
Innanzitutto va chiarito che in Italia per green economy non si deve intendere solo la produzione di energia da fonti rinnovabili. Certamente le cosiddette fer (fonti energetiche rinnovabili) costituiscono il settore più importante sia dal punto di vista economico-industriale che occupazionale, ma vi sono anche la bioedilizia, la bioagricoltura, l’efficienza energetica, la mobilità sostenibile, ecc. In buona sostanza, la green economy comprende tutte quelle attività che prevedono un miglioramento, in termini di rispetto dell’ambiente, dell’agire umano.
A quanto ammonta il giro d’affari della green economy? E quanti posti di lavoro offre?
Un’indagine dell’Eurispes dice che in Italia vale circa 10 miliardi di euro, mentre in Europa ammonta a 122 miliardi. A livello globale, invece, si raggiungono gli 810 miliardi. E si prevede un trend di crescita, anche per le opportunità lavorative. Uno studio Iefe-Bocconi prevede, infatti, che nel nostro paese ci saranno circa 250.000 nuovi posti di lavoro legati alla green economy nel 2020: si tratta di un fortissimo aumento, dato che si stima che attualmente vi siano circa 110.000 occupati. Un sistema di incentivi accattivante per gli investitori, accompagnato da un’evoluzione tecnologica e industriale capace di abbassare i costi dei componenti necessari nel campo delle fer, potrebbe favorire uno sviluppo ulteriore, anche in termini occupazionali, dell’intero settore.
Ci sono aree geografiche dove la green economy è più “forte”?
La green economy è presente in tutta Italia: la parte dell’efficienza energetica e della bioedilizia è più sviluppata al Centro-Nord, mentre per quanto riguarda le fer (tranne il caso dell’idroelettrico), ci sono più impianti al Centro-Sud.
Dunque si tratta di una buona opportunità per il Mezzogiorno.
Assolutamente sì. Oltretutto, si ritiene che la maggioranza di quei 250.000 nuovi posti di lavoro al 2020 di cui parlavo in precedenza verrà impiegata nel settore delle biomasse, di cui si prevede uno sviluppo particolare nel Centro-Sud.
La green economy è relativamente nuova: questo crea problemi nella ricerca della forza lavoro specializzata necessaria?
In Italia non c’è stata una risposta pronta da parte degli enti di formazione, sia pubblici che privati; inoltre c’è stato un ritardo nello sviluppo della filiera industriale del settore. Questi due fattori hanno fatto sì che oggi il mercato del lavoro non sia competente nella green economy. In altre parole, abbiamo un green job market che soffre la mancanza di sufficienti e diffuse competenze.
Proprio perché nuova, la green economy può essere un’occasione per i giovani?
Sì, ma devono mettersi nelle condizioni di poterla sfruttare. Nel mio libro ho indicato dei fattori critici che rendono difficile ai candidati l’accesso alle opportunità di lavoro legate alla green economy: la scarsa conoscenza del settore e delle aziende che vi operano; la scarsa disponibilità alla mobilità geografica, dato che le opportunità maggiori sono al Sud, mentre i candidati maggiormente formati e con le giuste competenze risiedono prevalentemente al Nord; le condizioni spesso difficili in cui si deve lavorare, come impianti ad alta quota o molto esposti al calore solare; politiche retributive ancora poco sviluppate, soprattutto per il fatto che molte aziende sono in fase di start up.
Di che cosa si occupa esattamente la divisione green economy di Gi Group di cui è responsabile?
Dato che in Italia sta crescendo il green job market, il compito di una divisione specializzata è capire quali sono le dinamiche attraverso cui si sviluppa questo nuovo mercato del lavoro, le principali aziende del settore, le principali figure richieste e i fattori critici che impediscono l’incontro tra domanda e offerta qualificata di lavoro in questo campo. Abbiamo quindi studiato il mercato, realizzato un mansionario ad hoc e un database specifico per il settore della green economy. Ci occupiamo quindi di fare ricerca e selezione dei profili specializzati, mettere in campo la formazione per colmare eventuali gap dei lavoratori e gestire le risorse per conto dei nostri clienti.
Quali sono i profili professionali più richiesti?
Le elenco i dieci profili più importanti nella green economy: esperto della progettazione di sistemi rinnovabili, che sviluppa e coordina la progettazione di campi fer; capo cantiere, cioè il responsabile dei lavori di realizzazione di un impianto; manutentore elettrico/meccanico, che è responsabile della manutenzione; installatore eolico/fotovoltaico, che si occupa di realizzare l’impianto; certificatore energetico; energy manager, ovvero la persona che ottimizza i flussi e i consumi energetici in un’azienda; esperto della progettazione di sistemi rinnovabili, cioè colui che sviluppa e coordina la progettazione di campi fer; tecnico commerciale delle energie rinnovabili, che sviluppa le opportunità sul territorio; tecnico della normativa e regolamentazione, che valuta le procedure necessarie e analizza i corretti investimenti; green business developer, ovvero la persona che ricerca e acquista terreni idonei, e a progetto finito vende gli impianti.
Se la green economy è un’opportunità di crescita economica e lavorativa per l’Italia, cosa può fare la politica per aiutarla?
L’Italia ha dei margini di sviluppo che rischiano di essere mortificati. Occorre creare una stabilità nelle politiche incentivanti e una maggiore chiarezza delle stesse. Servirebbe inoltre una razionalizzazione di tutta la disciplina che oggi norma la realizzazione degli impianti per le fer. Attualmente è infatti molto eterogenea, con differenze a livello regionale. Molto spesso per avere le autorizzazioni per la realizzazione degli impianti servono tempi di attesa molto lunghi, che in alcuni casi sfiorano i 2-3 anni, mentre la media europea è di 6-8 mesi.
Non c’è il rischio che la green economy possa essere solo una “bolla”?
Questo potrebbe accadere se la percepissimo utile esclusivamente in questa fase di crisi e se la guardassimo come uno strumento capace solo di creare alti tassi di redditività per gli investitori. Se, invece, la green economy viene percepita da tutti per quel che è, cioè un fenomeno culturale, oltre che economico, sicuramente non correremo rischi.