MANOVRA/ L’esperta: pensioni e taglio al cuneo fiscale, qualcosa non torna

- int. Paola Liberace

Secondo PAOLA LIBERACE, il governo Monti non ha tenuto conto, nelle misure di modifica al sistema previdenziale, delle reali esigenze di una donna nel corso della sua vita lavorativa

Lavoro_Madre_BambinoR400 Foto Fotolia

Il governo Monti, nella manovra “salva Italia” presentata ieri sera, ha introdotto anche alcune misure relative al lavoro dei giovani e delle donne. L’articolo 4 del decreto prevede un taglio al cuneo fiscale per il dipendente se ha meno di 35 anni o se è una donna. Viene significativamente decurtata la parte del costo del lavoro che l’impresa può dedurre dall’Irap, che passa da 4.600 euro a 10.600 annui (da 9.200 euro a 15.200 euro per le imprese del Sud) per ogni singola lavoratrice o dipendente under 35 che abbiano un lavoro a tempo determinato. Costo totale dell’operazione, un miliardo di euro. «Una misura intelligente, quella relativa alle donne. Ma che non tiene conto del fatto che altre attività, dalle quali non possono prescindere, completano la loro vita» spiega Paola Liberace, giornalista esperta di tematiche relative al mondo del lavoro femminile interpellata da ilSussidiario.net. Il riferimento è a quegli strumenti che il governo avrebbe dovuto adottare nell’ambito delle politiche sociali rivolte al mondo femminile. «Accanto alla necessità di inserimento nel lavoro – spiega -, vi è quello della permanenza in una dimensione familiare che la riforma delle pensioni avrebbe dovuto contemplare».

E, invece, non è stato fatto. «Equiparando a tutti gli effetti la vita lavorativa di una donna a quella di un uomo, si sarebbe dovuto prevedere una pausa nel corso della carriera stessa. Destinata non solamente alla formazione, ma commisurata alle esigenze familiari». Un tempo che, come si evince dall’idea che va per la maggiore, potrebbe essere recuperato alla fine dell’attività lavorativa. Ma «questo non va bene. Una donna non ha bisogno di recuperare degli anni, magari in proporzione al numero di figli, sul finire della propria attività, ma durante. Deve essere data la possibilità a chi si deve dedicare alla famiglia di farlo». Finora, secondo la Liberace, si è agito in virtù di una «mentalità risarcitoria, che ha tenuto conto del carico ulteriore di lavoro delle donne agevolandole con degli anni di lavoro in meno. Si dovrebbe, invece, prendere in considerazione tutte le esigenze che si presentano nel corso della sua vita; che non sono solo professionali, ma anche personali, di formazioni, emotive, affettive, e familiari. Forse, a questo livello uomini e donne non sono uguali».

Detto questo, il fatto che una donna dovrà versare 41 anni di contributi per raggiungere la pensione di anzianità, non dovrebbe porre problemi. «Credo che le donne – continua – possano tranquillamente farcela e che, a oggi, vi sia stata una gestione superficiale del welfare nel credere che il sistema assistenziale si sarebbe potuto permettere delle donne che andavano in pensione a 60 anni».





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